Pedro Sánchez al primo turno non ce l’ha fatta. Il suo primo tentativo di investitura a premier non è andato in porto: i 124 voti ricevuti sono pochi, rispetto ai 176 necessari er avere la maggioranza assoluta. Non sorprende il voto contrario dei partiti della storica opposizione, come il PP, Ciudadanos e Vox, ma l’astensione dei 42 deputati di Podemos, l’ex alleato degli otto mesi di governo che, questa volta, non ha dato la fiducia al leader del Psoe, lamentando l’assenza d’incarichi importanti, tra cui almeno quattro ministeri di peso e un vicepremier. XASA

Giovedì prossimo si giocherà la partita decisiva: se martedì era necessario trovare la maggioranza assoluta nel Congresso dei deputati, entro giovedì Sánchez dovrà riannodare in qualche modo la fiducia con Podemos, potrà governare con una maggioranza semplice che renderà il suo esecutivo fragile Econ poca autonomia. Altrimenti, se i voti saranno come quelli di martedì, allora sarà tuto da rifare e 25 milioni di spagnoli dovranno ritornare per la quarta volta in cinque anni alle urne.

Sánchez è stato sostenuto soltanto dal Psoe, il suo partito, e da un singolo deputato del Partido Regionalista de Cantabria. Cruciale per potere superare questo scoglio sarà trovare un accordo con Podemos per far nascere il primo governo di coalizione della storia spagnola. In caso contrario il rischio di nuove elezioni a novembre sarebbe molto concreto: se Sánchez dovesse perdere la seconda votazione, infatti, la sua candidatura cadrebbe e ci sarebbero due mesi di tempo per trovare una maggioranza, passati i quali il parlamento si scioglierebbe automaticamente. È successo nel 2016, ma stavolta per la sinistra spagnola sarebbe una mazzata terribile e storica.