L’Academy di Los Angeles sceglie di candidare “Dolor y Gloria”, il film spagnolo scritto e diretto da Pedro Almodovar e lo ammette nella doppia cinquina di film stranieri da cui, il prossimo 9 febbraio, sarà premiata la miglior pellicola non di lingua inglese. “Il traditore” di Marco Bellocchio, pellicola sulla vita del pentito di mafia più illustre al mondo, Tommaso Buscetta, non ce la ha fatta, scartato dai giurati che non hanno apprezzato la straordinaria interpretazione di Pierfrancesco Favino. Spagna 1-Italia 0, anche il nostro Paese ha vinto molti più Oscar dei cugini iberici, tra registi, attori, attrici e pellicole premiate, anche fuori la categoria delle pellicole straniere. A questo giro ci sono ben dieci pellicole, tra cui gli agguerritissimi “Parasite” della Korea del Sud, il già citato “Dolor y Gloria” e l’Estonia con “Trurh and Justice”.

Pedro Almodovar, (al centro) 70 anni con Asier Gómez Etxeandía, (a sx) e Antonio Banderas (a dx), protagonisti della sua ultima pellicola "por y Gloria" in lizza per lìOscar nella categoria Migliore Pellicole Straniera

Pedro Almodovar, (al centro) 70 anni con Asier Gómez Etxeandía, (a sx) e Antonio Banderas (a dx), protagonisti della sua ultima pellicola “Dolor y Gloria” in lizza per l’Oscar nella categoria Migliore Pellicole Straniera.

È la seconda volta per il regista adottivo madrileno dopo “Tutto su mia madre” che, poi, vinse la statuetta. Agli oltre seicento membri dell’Academy è piaciuta la storia melodrammatica di Salvador Mallo, alter ego di Almodovar, nella pellicola, un regista cinematografico oramai sul viale del tramonto, afflitto dai ricordi e dalle gioie passate. Dolori che sono in partee fisici, in parte dell’anima. La pellicola è un grande quadro che dipinge una vita intera, a partire dagli anni Sessanta, quando, bambino i suoi genitori, in cerca di fortuna, traslocano a Paterna, piccolo borgo povero della più povera provincia di Valencia. La madre, Jacinta, con il volto di Penelope Cruz, attrice feticcio di Almodovar, autoritaria e amorevole. Poi Salvador da uomo maturo va a Madrid dove incontra il suo primo amore da adulto. È la vivace Capital degli anni Ottanta, appena uscita dalla morsa del Franchismo, che vuole festeggiare per dimenticare quel trentennio di buio seguito alla Guerra Civile. Savador sperimenta sulla sua pelle le gioia, la libertà, il sesso, e poi la perdita di un amore ancora forte che lo condannerà all’infelicità dell’anima per il resto dei suoi giorni. Poi la scoperta della scrittura come unica terapia al dolore, per dimenticare l’indimenticabile e, infine, il cinema, la settima arte che dapprima è la medicina per riempire quel vuoto nello stomaco, e scacciare via il dolore della perdita, ma poi diventa un desiderio irraggiungibile dell’impossibilità di continuare a nutrirsi di esso.
“Dolor y Gloria” è un grande film, un’emozione visiva e di sentimenti da non perdere, forse il film più riuscito di Almodovar, reso vivo da una sceneggiatura impeccabile e la bravura di Antonio Banderas (altro attore feticcio) che recita la vita sullo schermo di Almodovar, giocando sulle differenze. Un film che spiega come la necessità di raccontare una storia, che sia la propria vita o un’invenzione è indispensabile per comprendere i propri limiti, il proprio dolore e le proprie ambizioni.