Se l’Europa si va concedendo il lusso di decidere dove passare le vacanze tra Grecia, Spagna o Italia perché in questi Paesi è stato raggiunto il picco tranne che in Svezia e in Polonia, altre nazioni sono ancora accerchiate dal virus. Non è questione di un singolo focolaio che scoppia in una scuola francese o dopo una messa in una chiesa tedesca  o in una clinica romana. È una situazione ben più complessa.

Come avviene negli Stati Uniti, è la prima ondata che non si è esaurita. Si allarga come una macchia d’olio in stati  popolosi come Brasile, India e Indonesia. Il virus colpisce con violenza Paesi  impreparati a gestire l’emergenza. Come tutta l’America Latina dove i malati muoiono per strada, come in Ecuador dove vengono bruciati se prima non passa il camion a raccattarli. Nel Cono Sir un mini-focolaio in Cile scoppia in Parlamento e si porta via tre ministri.

Da noi in Italia e in Europa si parla di coda epidemica. E siamo solo a giugno. Alcuni virologi mettono in dubbio l’arrivo di una seconda ondata ma le Borse  già crollano. Poi, eccezione, brilla l’ottimismo del ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, esponente di uno dei pochi Paesi che può permettersi di sorridere grazie alla sua efficiente gestione dell’emergenza.

Gli Stati Uniti con il Texas trumpiano, vaccinato per le manifestazioni anti-chiusura, deve richiudere perché i contagi aumentano, gli ospedali si riempiono e i posti di terapia intensiva sono quasi al limite. In mezza dozzina di Stati tra cui anche l’ Arizona che aumenta i casi con le manifestazioni per l’omicidio dell’afroamericano George Floyd: gli assembramenti hanno sferrato la pugnalata al cuore del suo sistema sanitario  sanitario già sconvolto dall’emergenza. E , sempre i virologi, temono che se la situazione non si normalizzerà, gli Stati Uniti  affonderanno a  picco assieme agli indici di Wall Street. 

L’Indonesia è l’altro popoloso stato asiatico che gioca col Covid-19. Benché ci siano 1.200 contagi al giorno, tutto riapre riparte: i voli nazionali decollano e Jacarta ammorbidisce le restrizioni.Come se nulla fosse accaduto.

Ma il grande malato è il Brasile assieme a Mamma Russia, luoghi in cui la fine non s’intravede ancora. Secondo Paese per numero di vittime dietro gli Stati Uniti e davanti alla Gran Bretagna, il Brasile è devastato dal virus. Le due grandi economie hanno in comune l’alto tasso di crescita dei contagi: mille infettati al giorno a Mosca, e questa settimana record di morti nello stato di San Paolo. Il Brasile preoccupa anche se l’Oms sostiene che il sistema sanitario brasiliano “non è ancora stato sopraffatto”. Benché la morte sia dietro l’angolo, Brasile e Russia allentano le misure e  la pandemia infuria. Il contrario di ciò che è successo in Italia e in Europa.

Poi, ci sono i successi. O quasi. In Asia la pandemia le ha prese da Corea del Sud e Singapore. Modelli da imitare, almeno nella prima fase. Nelle ultime settimane però, in entrambi i posti, sono scoppiati piccoli focolai che hanno spezzato il sogno della normalità. A Seul, dove vive metà della popolazione, il coronavirus è riesploso nei night club e nei bar di Itaewon, in un’azienda di stoccaggio merci e in un centro commerciale. Così le autorità sudcoreane impongono lo stato d’emergenza a tempo indeterminato, richiudendo uffici e negozi e rinviando a settembre l’inizio delle scuole. Ammettendo gli errori e scusandosene.  È un altro ceffone ben piazzato sul faccione dell’Europa: i sudcoreani ci insegnano che, qualsiasi cosa dicano le autorità sanitarie e i gruppi di scienziati di ricerca, il coronavirus ritorna con estrema facilità  anche nel più virtuoso dei Paesi.

La città-stato Singapore ha subito un confinamento morbido che ha ottenuto grandi risultati. Le sue autorità hanno imposto una app che tracciava i movimenti. La Oms, però, ha poi spiegato che Singapore è la zona del Sud-Est asiatico più colpita dai contagi e negli alloggi dormitori, casa per centinaia di lavoratori immigrati. A inizio giugno le scuole e molte imprese hanno ripreso la normale attività ma le riaperture continueranno in modo graduale perché si è scoperto che metà dei nuovi casi sono asintomatici e, a dispetto delle avventate dichiarazioni dei tecnici dell’Oms, gli asintomatici non sono innocui ma fanno paura.

E che succede in Cina, la culla del Covid-19? Il gigante asiatico inviava immagini di normalità come se l’emergenza fosse stata superata. Alla grande. Ora deve fare i conti con un nuovo focolaio nel più grande mercato alimentare di Pechino: qui il 15 giugno dieci quartieri sono stati posti in quarantena e sono state sospese tutte le attività culturali e sportive.

Fanalino di coda è l’Iran che assieme, all’Italia è stato il primo Paese colpito da questa peste, fuori dalla Cina. Qui non si hanno informazioni chiare per colpa del regime. Sappiamo, però, che il 12 giugno si sono registrati 2.369 contagi in 24 ore.  La situazione è, dunque, molto seria. Nessun miglioramento da marzo. Così come è successo in Usa non c’è stata una vera tregua, il picco seguito dalla discesa. Il virus non ha concesso nessuna pietà. Nessuno è riuscito a tirare il fiato. E lui si è  scatenato ancora una volta.