melaIeri, ho letto un articolo che si intitolava “la depressione che viene da lontano”. Adoro i discorsi legati alla sfera cerebrale, perché è davvero un mondo ancora sconosciuto e quando vengono pubblicate nuove scoperte, mi incuriosisco e approfondisco. “E’ stato dimostrato il legame tra geni e traumi dell’età evolutiva”. Ho cominciato a preoccuparmi, ma ho voluto capire meglio. Pensavo fosse tutta una questione di geni, invece, dallo studio recentemente pubblicato su Molecular Psychiatry, coordinato dall’Università statale di Milano, IRCCS Fatebenefratelli di Brescia e Kings College di Londra, si evince che eventi traumatici e stressanti, durante i primi anni di vita, possono portare al successivo sviluppo di disturbi depressivi. State già sforzando la vostra memoria alla ricerca di qualche capitolo del vostro passato che, magari, avete rimosso? Non potete ricordare; avreste dovuto essere molto piccoli. Ad ogni modo, la ricerca dimostra come fattori ambientali avversi e traumatici possano esercitare un effetto sinergico con la vulnerabilità determinata dal proprio background genetico. Ecco qui. E’ questa la familiarità della quale parlavo prima. Di solito, si lascia stare il cane quando dorme, ma se a svegliarlo è un evento traumatico, allora sono guai.  Alcune varianti geniche, note anche come polimorfismi, possono, infatti, interagire con l’ambiente avverso, rendendo alcuni soggetti più vulnerabili rispetto ad altri per lo sviluppo di psicopatologie. Ma gli studiosi come sono arrivati a questa conclusione? Gli autori dello studio hanno utilizzato un nuovo approccio incrociando dati provenienti da diversi tessuti, da modelli preclinici e da studi in corti cliniche. Gli autori hanno osservato alcuni pazienti americani con depressione ed esposti ad eventi traumatici e una corte norvegese di soggetti che durante l’adolescenza erano stati separati dai genitori a causa della seconda guerra mondiale, concludendo che, individui con determinate varianti in questi geni, se esposti ad eventi stressanti durante l’adolescenza, avevano una probabilità significativamente maggiore di sviluppare sintomi depressivi in età adulta.  Per noi profani i risultati di questo studio rappresentano una curiosità, un’informazione in più su quella che ormai è considerato uno dei mali del secolo, ma per gli studiosi è una premessa molto interessante; sarà più semplice individuare soggetti maggiormente a rischio per lo sviluppo di patologie psichiatriche, ma anche identificare nuovi bersagli utili per lo sviluppo di farmaci. Pensiamo, infatti, alla possibilità di somministrare, in via preventiva, certi medicinali per minimizzare il rischio di sviluppare tali patologie, come la depressione e molte altre. “Lo studio – commenta Marco Riva, professore di farmacologia in Statale e autore dello studio  ‐  sottolinea l’importanza di comprendere i meccanismi mediante i quali una predisposizione genetica possa interagire con eventi ambientali avversi, ed esercitare un effetto a lungo termine che viene poi smascherato in età adulta, con la comparsa della patologia depressiva”. In questo modo i medici potrebbero giocare d’anticipo.

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