fumoOgni giorno, mi arrivano, sulla scrivania, ricerche, più o meno interessanti, che cercano di dimostrare, dal punto di vista scientifico, alcuni  nostri comportamenti. Nello specifico, mi ha colpito, ma fino a un certo punto, quella elaborata dalla Università di Milano-Bicocca e dell’Università del Surrey, a proposito del fumo e, in particolare, del tabagismo. Nonostante gli allarmi sui danni provocati dal fumo (sono scritti anche sui pacchetti di sigarette), i tabagisti continuano imperterriti a soddisfare la loro dipendenza. Come mai? Eppure le campagne informative contro il tabagismo non si risparmiano. Ebbene, quello che è emerso è che i fumatori ritengono che i danni causati dal tabagismo non siano così immediati. Godiamoci allora la fumata perché chi vuol esser lieto sia: di doman non c’è certezza. Dalla ricerca, che ha analizzato la percezione che i fumatori hanno dei tempi di insorgenza delle malattie legate al tabagismo, è emerso che, tra fumatori e anche non fumatori, vive la consapevolezza, molto arbitraria, sul tempo dilatato che deve trascorrere prima che si sviluppino le malattie, sia quelle moderatamente gravi, sia quelle molto gravi. Si fuma sulla base del “perchè dovrebbe capitare proprio a me?”. Tra gli intervistati si è scoperto che i fumatori, rispetto ai non fumatori, spostano più avanti nel tempo la percezione dell’insorgenza sia delle malattie moderatamente gravi, sia di quelle molto gravi, ritardandone mediamente la comparsa di circa cinque anni. Una percezione distorta chiamata Onset time delaying effect, dunque, che evidenzia una carenza nella comprensione delle conseguenze negative che il fumo ha sulla salute delle persone e di quanto rapidamente possano presentarsi.  Dalla ricerca emerge anche che la stima dell’insorgenza delle malattie moderatamente gravi è direttamente associata alla propria percezione di rischio e anche di paura verso queste patologie, indipendentemente dal fatto che si sia fumatori o meno. Occorre che le campagne di prevenzione e cessazione del tabagismo prendano in considerazione questo effetto, rendendo consapevoli i fumatori delle tempistiche di insorgenza delle patologie che, già da tempo, vengono illustrate sui pacchetti di sigarette. Bisogna essere chiari e diretti. Poi, una volta raggiunto questo scopo, se uno vuol continuare a fumare, consapevolmente, sapendo a quello che andrà incontro, è giustamente libero di farlo. Già mi immagino, però, le obiezioni. “Non ci voleva una ricerca per dirci che il fumo fa male” o “Anche se avessi saputo questa cosa, non smetterei certo di fumare”. Non è questo il punto. Appurato di come sia dannoso il fumo, il problema è la sottovalutazione. E mi riferisco anche ai ragazzini che, fin dalle medie, fumano pacchetti interi di sigarette con disinvoltura, sentendosi “immortali”, come spesso capita a questa età. L’informazione è fondamentale. Poi, ci sta che uno fumi tre pacchetti al giorno e campi, magari, fino a cent’anni. Però, sarebbe sbagliato pensare che sia questa la regola.

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