Nel 1976 Angelo Branduardi lanciò una canzone-catena-alimentare che ancora mi tormenta. L’ultima strofa di Alla Fiera dell’Est era una vera e propria apocalisse, con il cipiglio di Dio in persona sull’angelo della morte del macellaio, che uccise il toro, che bevve l’acqua, che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il topo, che al mercato mio padre comprò.

Che angoscia!

La storia recente dei migranti africani è una lunga catena di Sant’Antonio dimenticata, come se l’effetto finale, l’accampamento di esseri umani a ridosso delle frontiere, non avesse un’origine precisa.

Il presidente francese Nicolas Sarkozy nel 2011 scatenò la guerra in Libia, trascinando con se un entusiasta David Cameron, un riluttante Barak Obama, e il più riluttante di tutti in quella circostanza, Silvio Berlusconi. La guerra spazzò via Gheddafi, la valvola che regolava con cinismo raccapricciante il flusso dei migranti. Da quel momento in poi siamo sempre andati con il lanternino a cercare il nuovo satrapo locale che avesse la forza di trasformarsi in “nuova valvola”.

Cadde il regime di Tripoli, ed ebbe inizio l’esodo fuori controllo. Dal 2011 i disperati approdano a flusso continuo a Lampedusa Poi smistati nei centri di accoglienza. Alla spicciolata in su verso Francia, Germania, Inghilterra. Alle due frontiere di Ventimiglia da anni si ripete il gioco di chi li spinge di là, e i francesi incazzati che quando li acciuffano li riportano di qua.

Dopo la recente tragedia con la morte di 27 migranti nel tratto di mare tra Francia e Inghilterra, la ministra degli interni del governo di Boris Johnson ha accusato Emmanuel Macron di accatastare i migranti sulle coste atlantiche come Alexander Lukashenko fa sul confine con la Polonia.

Come sopra, così sotto: le accuse del paese più a nord sono le stesse rivolte alla valvola difettosa di quello a sud. Eppure in quel 2011 le calcolatrici strategiche di due paesi in particolare, Francia e Gran Bretagna, erano molto attive.

Quella dei migranti è una specie di “Alla Fiera dell’Est” dimenticata che mi fa tornare in mente un’altra catena di Sant’Antonio venuta alla luce nel 2013 con lo scandalo della carne di cavallo “a sua insaputa”: non mi risulta che quella supply chain sia stata interrotta, semmai solo raffinata.

Una ditta nel nord della Francia ordinava una partita di carne di manzo a un pincopallino nel sud della Francia, che subappaltava l’incarico a un intermediario di Cipro che passava la patata bollente in Olanda, che contattava un mattatore rumeno, che consegnava la partita di carne alla ditta iniziale, che la rimbalzava a un sussidiario in Lussemburgo, che la distribuiva a mezza Europa. Ma anzichè manzo era un vecchio cavallo rumeno usato per lavori di fatica, poi ucciso, macellato e smistato negli stomachi di mezza Europa, attraverso una grande azienda alimentare.

Sia con i migranti che con la carne, è uno schema Ponzi: tutti coinvolti, nessuno sa. Un gioco che noi boomers conosciamo molto bene, si chiamava telefono senza fili: il primo bambino pronunciava sottovoce una frase nell’orecchio del secondo bambino che la ripeteva al terzo e così via. L’ultimo della fila annunciava tutto felice il risultato: «vecchio cavallo!». Peccato che il primo avesse ordinato un «giovane manzo».

Chi ha capito male? Nessuno lo sa. E’ stato un lavoro di gruppo: tutti utili, nessuno responsabile.

 

L’immagine su questo blog è di Deborah Joy Bormann @deborahjoybormann.

Deborah nasce a Trieste, città di confine, da padre statunitense e madre spagnola. Vive a Bologna, Pisa, Amsterdam, Madrid, San Francisco. Una serie di coincidenze e passioni la porta a Torino, oramai città d’adozione.
Spirito indipendente, visionario e… disperatamente ottimista.
Madre, compagna, insegnante, arteterapeuta e artista.
Da sempre adora leggere, scrivere, pensare e creare.

Le idee espresse da Andrea nei suoi articoli non rappresentano necessariamente le opinioni e le convinzioni di Deborah.
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