Cari Commensali la questione delle intercettazioni è delicata. Mi sembra che ci sia, come sempre, un po’ di tifoseria in tutte le zuppe. La questione, stretta stretta, riguarda il conflitto di tre ingredienti: il diritto alla sicurezza, il diritto alla privacy e il diritto all’informazione.
Il primo ingrediente è semplice: con le intercettazioni si beccano i criminali. Con il disegno di legge del Cav cosa succede? Mah mi sembra di aver capito e letto che per mafia e terrorismo cambi poco, anzi niente. Tutto continua come prima. Per i reati sotto i cinque anni di potenziale condanna, cambia nulla. Nè prima nè oggi sono interecettabili. Anzi il Cav rende ora interecettabile il reato di stalking. Cambia per i reati che vanno da cinque anni a mafia/terrrorismo. Si potrà intercettare, è inutile girarci intorno, con più regole e per tempo limitato. Si è fissata la soglia a 75 giorni. Pochi? Troppi? Boh. Ma poco cambiava se si scriveva 100 o 120 o fino alle fine delle indagini. Si tratta pur sempre di limiti. D’altronde nella nostra procedura penale i limiti sono l’essenza. Non so, per dire: quanto trattengo in galera un delinquente colto in flagranza di reato oppure quanto deve durare il carcere preventivo? Sarebbe bello discuterne senza gridare al regime. Porre comunque un limite al legittimo esercizio della “vilenza” monopolio legale dello Stato non è così assurdo.
Il secondo ingrediente è la privacy. Prima o poi una telefonata di un delinquente o presunto tale può arrivare anche a noi. L’idea che per questa via un magistrato (e per la sua strada) l’opinione pubblica sappia gli affari nostri è indecorosa. E in fondo anche che vengano spiatellati i suoi, che non c’emtrano con il reato. In Italia nel 2009 sono stati fatti 90mila decreti di intercettazione che riguardano singoli che fanno evidentemente centinaia di telefonate. Forse pensare di porre un freno al commercio di questo intercettazioni non è del tutto sbagliato.
E arriviamo ai casi nostri. I giornalisti che dovessero pubblicare un’intercettazione, anche per riassunto, prima del processo pagherebbero multe da capogiro e i loro editori altrettanto. Mentre i magistrati che evidentemente gliele forniscono se la passerebbero con una ramanzina. Ci credo poco che il magistrato superiore li licenzi, come pure in estrema ratio prevede la legge. Mi sembra un ingrediente un po’ indigesto.
Cari commensali non ho un’idea da tifoso. Vi propongo solo gli ingredienti, ma come cucinarli non è chiarissimo.
Due ultime spezie per la nostra conversazione rubate a Filippo Facci e a Giggi Nuzzi.
Facci ricorda, e conviene farlo, che molte di queste norme erano già previste, ma nessuno le rispettava perchè le multe erano ridicole: nulla di nuovo sotto il sole.
Nuzzi in una interessante intervista al procuratore capo di Roma riporta una frase agghiacciante dello Stesso: del tipo abbiamo bisogno del consenso popolare per fare i processi.

Per carità: i travaglini con la verità in tasca, datevi una calmata, almeno per questa discussione.