La zuppa si occu­pa oggi di un’ar­ma nucleare in mano agli uomini del­le tasse. Roba da non credere, per quanto sembri assurdo. Eppu­re è tutto vero. Una vec­chia norma (l’articolo 32, comma 1, numero 2 del dpr 600-73) prevede che chiunque utilizzi il contante per i propri pagamenti abbia l’onere di dimostrare che non sia un evasore. Cerchiamo di essere più chiari e raccontiamo un caso molto concreto che è accaduto ad un nostro lettore. Un profes­sionista subisce un accertamento da par­te della Guardia di finanza. È uno dei milio­ni di partite iva che circolano in Italia. I libri contabili sono tutti a posto.

Le tasse sono state pagate regolarmente. Insom­ma non ha nulla da nascondere. Ma gli vengono contestati dei prelevamenti che ha fatto con il suo bancomat e direttamen­te allo sportello bancario della sua filiale. Qualche migliaio di euro nell’anno.L’am­ministrazione finanziaria ha la possibilità di sbirciare nei nostri estratti conto senza grandi problemi. Uno strumento potentis­simo, di cui neanche la magistratura di­spone. Ebbene in un bel foglio excel, gli uomini delle tasse contestano al nostro let­tore di aver prelevato un tot di contanti. Il periodo di indagine va indietro fino a quat­tro anni. La norma parte da un principio ovviamente corretto: il nero alimenta il ne­ro. Dunque se io incasso in nero, pago in nero e viceversa. Ebbene la cosa incredibi­le è che sul contribuente (solo per le parti­te iva) vi è un’inversione dell’onere della prova. È cioè il professionista a dover di­mostrare al fisco come ha utilizzato quei quattrini che ha prelevato. Insomma se durante tutto il 2008 avete prelevato 10mi­la euro di cash dal vostro conto (meno di 1000 euro al mese, dunque meno dei nor­mali tetti che prevedono i bancomat dei principali circuiti) potrete trovarvi nella condizione di dover giustificare il modo in cui li avete spesi: con carte alla mano. Altri­menti sono dolori. La presunzione dell’agenzia delle entra­te è che quello sia reddito occultato al fi­sco.

Avete capito bene: i 10mila euro che avete prelevato so­no reddito e non spesa: e devono dunque essere aggiunti al totale dei redditi che avete dichiarato quell’anno.E di conseguenza tas­sati. Cioè il fisco vi può chiedere, se non siete in grado di dimostra­­re come li avete utilizzati, di paga­re le tasse e le relative sanzioni su un reddito aggiuntivo, equivalen­te a quello che avete prelevato. A questo punto qualcuno può pensare che oggi chi scrive sia del tutto ubriaco. Cosa c’entrano i prelevamenti bancomat con il reddito che uno ha? Niente, ov­viamente. Ma la legge, ossessio­nata da un controllo poliziesco delle nostre attività, si è inventata questa presunzione assurda. E la prova per uscirne è diabolica. L’agenzia delle entrate non è inol­tre te­nuta a una fissa e rigida pro­porzionalità tra cash prelevato e vostri redditi dichiarati. Insom­ma se un ricco professionista de­nuncia 100mila euro di reddito, non è detto che sia esente da que­sto gravoso onere della prova per poche migliaia di euro di preleva­menti fatti in cash. Ed è precisa­mente ciò che è avvenuto al no­stro lettore. L’inversione dell’one­re della pro­va è piuttosto consue­to nel nostro diritto tributario. Ba­sti pensare al redditometro o al­l’esistenza di fondi all’estero. Ma in questi casi vi sono precisi palet­ti previsti dalla legge. Per i banco­mat e il contante non ve ne sono: e dunque tutto è lasciato all’arbi­t­rarietà dell’accertatore. Sarebbe opportuno che i boss dell’Agenzia ci diano qualche pa­rametro quantitativo per dormi­re tranquilli.