Solo in Italia esiste quella bizzarra e nefasta convinzione secondo la quale per risolvere ogni problema sia necessaria una legge o un regolamento in più.

D’altronde ancora riteniamo che con qualche articolo di legge si possa far crescere l’economia. Del tipo: da domani il fatturato deve crescere del 5 per cento. Roba da pazzi. Ma mica tanto. Pensateci bene, la malattia è più diffusa di quanto il nostro paradosso voglia fare intendere.

Orbene ieri i magistrati della Corte dei conti ci hanno detto che la corruzione in Italia è a livelli massimi. Solo uno sciocco provocatore potrebbe rispondere che loro di corrotti se ne intendono. Il provocatore meriterebbe una censura. Perché il punto è che i magistrati hanno ragione da vendere e il fatto che anche la loro categoria abbia qualche mela marcia dimostra come non ci sia settore della nostra economia che non soffra della corruzione, anche la più spiccia. Il punto è capire come risolvere il problema. Il profeta della correttezza chiederà a gran voce che sia presto approvata una bella legge (un progetto langue da anni) contro la corruzione. In galera i delinquenti. Perbacco, difficile non essere d’accordo. Ma purtroppo anche l’onestà, come il Pil, non si può imporre per decreto. E la disonestà, come la recessione, oltre un certo limite non si fa intimorire dalla deterrenza. Se tutti lavorassimo volontariamente un’ora in più, l’economia migliorerebbe, ma non lo facciamo. Le manette, quelle dure, agli evasori disincentivano, come l’ergastolo per gli assassini, ma non azzerano i delitti.

La soluzione più razionale, che guarda caso i burocrati pubblici e i politici non menzionano, è quella di prosciugare lo stagno della corruzione e cioè il ruolo nell’economia proprio di burocrati e politici. Ridurre la spesa pubblica. Ridurre la burocrazia. Ridurre la richiesta di permessi. Ridurre la necessità di certificazioni. Ridurre, poi, i tempi di sanzione delle malefatte. Così come per ridurre l’evasione si dovrebbero ridurre le aliquote.

Si celebrano i 20 anni di Mani pulite. All’epoca lo Stato spendeva circa 150 miliardi di euro in meno rispetto ad oggi (valore reale, inflazione già considerata). Insomma abbiamo continuato a spendere e spandere. È notorio quanto faccia male alle finanze pubbliche e alle nostre tasche. Ma è peggiore il suo effetto collaterale: la corruzione.

Per vincerla ci vuole meno Stato. Non più Stato. È necessaria meno spesa pubblica e meno regolamentazione. E pene certe e immediatamente eseguibili per chi sgarra. La risposta che invece si tende sempre a dare è quella legislativa. Che non fa che aggravare la corruzione. Dieci certificati in più sono dieci potenziali passaggi di corruzione in più. Dieci organismi di vigilanza in più sono dieci occasioni di corruzione in più.

Gli italiani non sono più disonesti dei loro vicini di casa. Siamo sopraffatti dalle micidiali tentazioni che uno Stato pieno di lacci continua a proporre. Non ci credete? Recitate il Padre nostro.

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