I signori Federico Ghizzoni ed Enrico Cucchiani, i superboss di Unicredit e Intesa, hanno un bel problema. Anzi, ne hanno tanti. Fare i conti con la reputazione delle banche, di poco migliore solo a quella dei politici, innanzitutto. E poi le solite cose di cui parliamo da anni: il ruolo della finanza, lo scarso credito alle imprese, l’utilizzo dei fondi concessi da Mario Draghi e i miliardi in crediti incagliati di cui sono zeppi i loro bilanci. Ma c’è un aspetto centrale di cui non si parla mai e che, in fondo, è il più grave di tutti. Perché riguarda il cuore dei loro affari: le banche non hanno capito un accidente dei gusti e nelle abitudini dei propri clienti.

Qua non parliamo della patologia del sistema (qualche derivato venduto male, Bond spacciati per oro, commissioni fuori mercato), ma della base: le banche non hanno capito per tempo che i loro sportelli, i loro metri quadri, i loro palazzi, le loro insegne, i loro dipendenti alla cassa stavano diventando banalmente e tragicamente superflui. Provate a fare un giro vicino alle sedi dell’Abi (l’associazione bancaria) di Milano e Roma e troverete più filiali. Dentro qualche sparuto cliente. Eppure fino al 2007, e con una lunga coda nel 2008, i banchieri si strappavano sportelli sul territorio a botte di valutazioni da 10 milioni. Compravano roba che di lí a pochi mesi sarebbe servita nulla. Sapete a quanto ammontano le transazioni fatte nei quasi 4mila sportelli di Unicredit? Al 20% del totale. Tutto il resto passa per i cosiddetti canali alternativi: dai bancomat a internet. E i valori sono molto simili per le altre grandi banche italiane. Tutte stanno assistendo ad un repentino crollo delle operazioni bancarie fatte in filiale.

Insomma, fino a cinque anni fa si strappavano gli sportelli di mano e oggi non sanno più che farsene. Ridurne il numero non è semplice: con gli sportelli viaggiano persone e metri quadri, di cui non ci si sbarazza dall’oggi al domani. A metá dell’anno scorso le banche hanno preso coscienza del pasticcio combinato. E prima Intesa e poi Unicredit, tra le altre, hanno previsto un piano di snellimento. McKinsey, che fino a pochi anni prima ci aveva raccontato l’importanza del presidio del territorio (le filiali per noi comuni mortali) in un rapporto (face to face, aprile 2011) ci ripensò e ci raccontò il dramma italiano. Rispetto alla media europea di 453 filiali per milione di abitanti, da noi ce ne sono 786 (comprese le Poste). Dal 2009 sono scomparsi solo 450 sportelli, e quelli bancari sono un totale di 33.500.

Il mestiere di Ghizzoni e Cucchiani è quello di raccogliere i nostri risparmi e impiegarli al meglio nel sistema produttivo. In mezzo ci sono milioni di operazioni bancarie. Con il senno di poi siamo ovviamente tutti bravi a pensare che, già nel 2007, un manager che prendesse la metropolitana o si facesse da solo il check-in per un volo aereo, poteva forse immaginare che il mondo non passasse più per sue filiali bancarie. Diciamo pure che il fenomeno sia stato impetuoso, improvviso (non è ovviamente cosí), più veloce delle attese. Ma un dubbio ci resta. Le grandi banche sanno che la vera concorrenza si fa con la rete, che commissioni e costi sono ridicoli, e che spingere troppo sui canali alternativi avrebbe cannibalizzato le filiali a più alto valore aggiunto (per loro).

E di questa eredità Ghizzoni e Cucchiani si dovranno fare carico, ben prima di quanto immaginiamo. Chi li ha preceduti ha speso miliardi per comprare negozi (le filiali) che di lí a poco sarebbero diventati un peso; ha cercato poi di rallentare la migrazione sulla rete. Oggi siamo al redde rationem.

Tag: , , , , , , , , , , , ,