Luigi Einaudi piace a quelli che piac­ciono a correnti alternate.

Beccatevi que­sto pezzetto di predica inutile: «Gli espor­tatori illegali di capitale sono benefattori della Patria, perché i capitali scappano quando i governi dissennati e spendaccio­ni li dilapidano, e allora portandoli altro­ve li salvano dallo scempio e li preservano per una futura utilizzazione, quando sarà tornato il buon senso». Ma non basta, il medesimo celebrato Einaudi riguardo l’evasione fiscale ammoniva di «non gio­care d’astuzia contro i contribuenti, non pigliarli di sorpresa, come troppo spesso si è fatto sin qui… Le leggi d’imposta deb­bono essere, sostanzialmente e non solo formalmente,diritte e oneste.Solo a que­sta condizione possono riscuotere l’ubbi­dienza volonterosa dei cittadini…».

Nel pieno della crisi economica che ha investito l’Italia tutti i nostri politici sono alla ricerca di risorse per dare avvio alla ri­presa, ma come ha notato magnificamen­te Piero Ostellino sul Corriere della Sera , bisognerebbe piuttosto «liberare risorse» affinché i privati continuino ad investire e risparmiare in Italia. Ridurre il peso dello Stato, rendere minimo il ruolo delle buro­crazie, e rendere le imposte più basse e tra­sparenti. Non servono soldi, occorre me­no Stato.

E il caso Ilva di Taranto è da manuale (degli orrori). Per colpa della passata ge­stione dello Stato, gli altiforni, oggi priva­tizzati, hanno accumulato residui tossici che però oggi portano in galera gli attuali proprietari. A pochi chilometri, la medesi­ma burocrazia ha di fatto cacciato gli in­glesi che volevano costruire un rigassifica­tore. Il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, in modo anche volenteroso pro­pone di creare al Sud un grande centroper l’immagazzinamento dei dati elettro­nici. È un’idea.Ma ci permettiamo didire che se il ministro, come ha ben fatto ieri, si occupasse principalmente di smantella­re queste diffuse incrostazioni anti-im­presa, renderebbe un maggior servizio al­lo sviluppo.

Il nodo centrale resta infatti quello di Ei­naudi. Da questo ambiente ostile i capita­li dei nostri risparmiatori e degli impren­ditori scappano. Per «salvarli dallo scem­pio » di un Paese che oltre a spendere trop­po, si intromette negli affari privati con l’arroganza del principe.Siamo dominati dal formalismo di norme e vincoli, scudo dei mandarini della nostra pubblica am­ministrazione, e da un’imposizione espropriativa che distruggono ogni pur minima voglia di fare. Ci auguriamo che un giudice assennato ribalti per l’ennesi­ma volta le decisioni prese a Taranto sulla chiusura degli altiforni. Ma il danno è fat­to. Chi è quel pazzo, che tra fisco, tribuna­li e burocrazia, si metterà mai in mente di investire quattro spiccioli in questo pae­se?

Passera più che inventarsi un nuovo modello di sviluppo per il Sud o l’Italia ha il difficile compito di combattere questa paludosa rete di interessi e formalismi che ci porterà al sottosviluppo.

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