Lo Stato italiano dovrebbe comportarsi con il buon senso di un bottegaio (termine che solo una furia sinistra ha voluto rendere dispregiativo, ignorando la sua grande tradizione). Se invece dei professori fossimo guidati da una buona pattuglia di bottegai, oggi non ci troveremmo con l’incubo contabile che mese dopo mese certificano al ministero delle Entrate. Saremmo in grado di comprarci un’auto, o un vestito, o un servizio per il semplice e banale motivo che lo Stato non ci avrebbe tolto le risorse per farlo. Da gennaio a novembre il Tesoro ha incassato 380 miliardi di euro. Il dato ufficiale è stato reso pubblico ieri. Le entrate sono cresciute, rispetto all’anno precedente. Grazie all’introduzione di una nuova imposta (l’Imu) e all’incremento di alcune gabelle già esistenti. Ma la consistenza dell’entrata principe (l’Iva, l’imposta che grava su tutti i consumi di beni e servizi) è diminuita. Si badi bene: sono scesi gli incassi, nonostante essa sia stata percentualmente aumentata dal 20 al 21 per cento. Il motivo è molto semplice e appunto un bottegaio ve lo avrebbe spiegato in anticipo. Se bastoni con nuove e maggiori imposte i contribuenti, soprattutto in un momento di crisi economica, questi debbono stringere la cinghia. Pagheranno l’Imu, ma eviteranno la pizzeria. Per sfamare la bestia statale, i contribuenti mettono a stecchetto se stessi. In un circolo vizioso. Lo Stato incassa di più, il contribuente spende di meno, il cittadino chiede aiuti che sono graziosamente elargiti dallo Stato con le risorse recuperate dai contribuenti. Ma c’è qualcuno al mondo che possa ritenere questo circuito infernale ragionevole? Sì. Coloro che grazie a questa follia ottengono potere e ruolo: burocrati e politici.

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