Tanto vale chiuderla, l’Italia. Stop. Fermiamo tutto. Blocchiamo, serriamo, sigilliamo. Ieri i giudici di Taranto a questo nobile intento si sono attenuti. La forma della legge sarà rispettata. Non lo mettiamo in dubbio. Ma già i romani insegnavano: Summum ius, summa iniuria. E cioè il massimo del diritto può rivelarsi il massimo dell’ingiustizia. Non ricapitoleremo tutta la vicenda dell’Ilva di Taranto. Ciò che ci interessa è che sul piazzale di quella ditta ci sono prodotti per circa un miliardo di euro. E che i magistrati, per la terza volta, si sono di fatto opposti alla loro vendita. Nonostante una leggina ad hoc (e nella specialità di questa norma ci sarebbe il germe infetto) fatta dal governo Monti alla vigilia di Natale, i giudici di Taranto non hanno tolto i sigilli. La storia è scritta. La più importante azienda siderurgica italiana è praticamente morta: 6 miliardi di fatturato realizzati in Italia che vanno in fumo, 50mila dipendenti a spasso. È questione di giorni. In cassa la società dei Riva ha meno di 50 milioni: poche settimane di aria. Non c’è ancora nessuna sentenza definitiva. Ma indagini in corso. E l’oggetto del contendere, in questo caso, non è l’inquinamento ma semmai il suo prodotto.
La giustizia è cieca, si dirà. Ma anche al dettato del legislatore, che prevedeva lo sblocco di quei sigilli. C’è da piangere, ma piangere per davvero. Il caso Ilva è un simbolo. Quante imprese in Italia, che non fanno notizia, sono trattate con il metodo Taranto? Un lettore sempre pugliese ci ha scritto pochi giorni fa di aver subito un sequestro cautelare per una partita importante di olio extravergine. Ha perso la sua esportazione in America. Dopo poco è stato liberato (l’olio) perché erroneamente coinvolto. Nessuno ovviamente paga gli errori commessi. D’altronde perché i magistrati dovrebbero comportarsi diversamente da come fa lo Stato nei confronti dei privati? Pensate un po’ alla follia dell’inversione dell’onere della prova in materia tributaria: in cui è il contribuente a doversi giustificare e non l’amministrazione a dover provare. E i pagamenti? Lo Stato può soddisfare i crediti quando più gli aggrada. Siamo schiavi davanti ai burocratici. Siamo noi al loro servizio e non loro al nostro. È tutto sottosopra. Bottegai, commercianti, imprenditori che ancora intraprendono non sono degli eroi, sono dei disperati. Non hanno alternativa. Il nostro apparato statale così imperfetto ci vuole così perfetti che viene una rabbia incontrollata. Si chiama Leviatano.
Chi può scappa. Basterebbe guardare le statistiche. In cinque anni abbiamo perso un quarto della nostra produzione industriale: volatilizzata. In compenso nel 2010 (dati Istat) le imprese italiane hanno dovuto fare di necessità virtù e produrre all’estero. Scappare da Taranto ma anche da Varese o Trento. Le nostre mini multinazionali danno da lavorare all’estero a circa un milione di persone, per un fatturato da 220 miliardi di euro. Un gruppetto (circa cento) di piccoli imprenditori veneti capeggiati da un giovane artigiano di Vicenza (Sandro Venzo) hanno preso un pullman e sono andati nella vicina Carinzia per impiantare le proprie fabbriche.
Continuiamo così. Il lavoro ce lo troveranno magistrati, funzionari, direttori, impiegati della pubblica amministrazione. Che un giorno si sveglieranno e si accorgeranno che i loro stipendi non li paga più nessuno. L’Italia è chiusa. Se ne è andata.

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