Altro che giovanilismo. C’è un campo in cui le persone anziane sono imbattibili. Mutuando un termine debenedettiano (Dio ce ne scampi), per essere degli abili power broker (traduzione anglosassone di «banchieri di sistema») occorre avere almeno più di settant’anni. Il caso da laboratorio è Intesa Sanpaolo. In teoria la più importante banca italiana. In pratica il laboratorio di tutte le possibili alchimie politico-finanziarie che sono immaginabili in Italia. I cinque azionisti più influenti sono Fondazioni bancarie. Insieme hanno circa un quarto del capitale della banca e grazie ai loro presidenti, Intesa (sì certo c’è anche San Paolo) si può definire la banca anagraficamente più vecchia d’Italia e forse del mondo (altro che Monte dei Paschi). Nulla di male, per carità. L’allegra compagnia si riunisce una volta ogni tre anni per decidere chi comanderà in Intesa. È arrivato quel giorno. Da un po’ di anni a questa parte i soci decidono che il proprio dominus debba essere il coetaneo Giovanni Bazoli. C’è poco da fare gli spiritosi sulla età, passa per tutti. Ciò che sa di vecchio è invece il bizantinismo delle procedure per confermare Bazoli e la linea di comando. Ma andiamo per ordine. Le Fondazioni sono azioniste delle banche, e i loro vertici sono scelti da uno strano impasto di establishment locale e assetti politici. Nel caso di Intesa inoltre le Fondazioni eleggono un Consiglio di sorveglianza (quello di Bazoli) e questo nomina un Consiglio di gestione (quello oggi guidato da Cucchiani).
Tre livelli di incasinamento totale. Se tocchi una tesserina rompi il mosaico. In Intesa, un po’ come al Corriere della Sera, a comandare, senza un’azione è Bazoli. In accordo con il Supercapo della Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti. Se si rompe l’asse Guzzetti-Bazoli, si rompe la serenità dei power broker italiani. Anche a questo giro non avverrà. Guzzetti rimarrà a guidare la sua Fondazione fino ai suoi 84 anni e Bazoli il consiglio di sorveglianza (cds) fino agli 83. Per far ciò hanno dovuto cedere qualche posto in cds all’azionista di maggioranza, che è la compagnia torinese guidata da Sergio Chiamparino. Ogni posto vale (o costa se preferite) 150mila euro, 2mila euro come gettone: esclusi presidente, che viaggia sopra il milioncino, e vicepresidenti, compensati delle maggiori responsabilità. Argomento volgare, ce ne rendiamo conto, ma da non sottovalutare.
La banca viene però maneggiata (trattasi di anglicismo) dal Consiglio di gestione. Con l’uscita di Corrado Passera, l’asse lombardo tentò il colpaccio: volevano piazzare alla guida operativa Vittorio Grilli (poi diventato ministro di Monti e intimo di Guzzetti). Too much anche per i docili torinesi e per l’asse Fassino-Chiamparino che non riesce a digerire proprio tutti i sass. Si trovò dunque un compromesso su Cucchiani. Il punto è dove si troverà l’equilibrio nelle prossime settimane. Abbiamo già detto delle seggiole in cds, ma basta? Il presidente del Consiglio di gestione dovrebbe diventare Gian Maria Gros-Pietro (frutto dell’accordo piemontese tra Fassino e Saitta). I piemontesi scalpitano: hanno il doppio delle azioni di Cariplo, ma contano poco. Inoltre Bankitalia pretende che in quest’organo ci debba essere una nutrita pattuglia di alti dirigenti interni. Nella passata gestione Angelo Benessia, all’epoca influente dominus della fondazione sabauda, piazzò l’uomo sbagliato (Marco Morelli, dal profilo più finanziario che commerciale) al posto giusto (gli sportelli). Ora sono guai. Se il cds dovesse seguire le richieste di Bankitalia, non potrebbe che scegliere in un poker di dirigenti (Micciché, Castagna, Messina, Micheli), tutti nati e cresciuti nell’Intesa di Corrado Passera. Ecco, l’altro mistero di questa complicata partita. In molti a Milano pensano che, passato l’anno di vacatio, l’ex ministro potrebbe ritornare sul luogo del delitto. I suoi uomini sono già lì.
Questo lungo trallallà bancario (nulla rispetto alle 165 pagine della Relazione sul governo societario e assetti proprietari di Intesa, scaricabile dal suo sito) è solo lo spunto per tre brevi conclusioni.
1. Il nostro sistema bancario è intermediato da un gruppo di cooptati di una certa età, imbattibili nel riuscire a perpetuare se stessi.
2. Le regole di queste società sono più complicate di quelle del nostro dannato bicameralismo perfetto. Le banche dovrebbero far soldi e credito, ma sono specializzate nel costruire poltrone.
3. La casta politica può essere definita «morta» o «stalker» da un grillo qualsiasi grazie al sistema democratico, che ogni dimissione di Papa fa uno scherzetto in Parlamento. Ma con la complessa governance delle banche non si gioca: i rivoluzionari sono cacciati a calci nel sedere.
Ps. L’attuale ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, proposto da Guzzetti alla guida di Intesa, ha il compito di vigilare sulle Fondazioni bancarie, che sono guidate in associazione proprio da Guzzetti. A differenza delle banche, le medesime Fondazioni non hanno ancora recepito la norma (cosiddetto articolo 36) per cui non si può sedere in cda di società concorrenti.
Ps 2. A proposito di eleganza i Benetton ne hanno persa molta per strada. Ieri sono stati decisi i concambi tra le loro due controllate Atlantia e Gemina. Sempre ieri si è scoperto che la holding della famiglia (Sintonia) durante l’ultimo mese di febbraio ha comprato più di cento milioni di euro di azioni Atlantia: circa un quarto del volume di scambi dell’intero mese. Un bel modo per tenere su il titolo, nel momento in cui si stava valutando il suo prezzo relativo per scambiare azioni Atlantia contro azioni Gemina.

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