La Banca centrale europea continua a inondare il mercato di liquidità. Non tutto arriva a famiglie e imprese. Si ritiene che il taglio dei tassi adottato ieri non avrà un grande effetto pratico. Ma è un simbolo. Quello di una politica espansiva che non si vuole abbandonare. Dall’altra parte la burocrazia europea e le organizzazioni internazionali (l’Ocse proprio ieri) si comportano in modo esattamente opposto. E continuano a opporsi alle riduzioni fiscali. Nessun giudizio di merito (anche se i commensali sanno bene la nostra posizione per una forte defiscalizzazione), ma una semplice riflessione di metodo. Come si può pensare di trovare una soluzione alla grave crisi economica europea, se le forze in campo giocano in squadre contrapposte? Gli sforzi dell’una (i soldi a costo zero) vengono vanificate dall’altra (meno quattrini nelle tasche di famiglie e imprese).
Come insegna bene il caso americano, dove politica e moneta hanno lavorato nella stessa direzione. Proprio due giorni fa la Fed si è detta disponibile ad aumentare di 85 miliardi al mese gli acquisti di bond che sta facendo sul mercato.
Lasciare mano libera alla politica di spendere a piacimento, potrebbe rappresentare per l’Italia un rischio fatale. Oggi paghiamo la scelleratezza del passato. Con una reazione uguale ma contraria siamo però arrivati all’assurdo di avere un problema di contabilità internazionale nel pagare subito i 100 miliardi di debiti che la pubblica amministrazione ha contratto con i privati (solo per citare un caso). Siamo passati dai regali a baby pensionati, una bomba atomica sul nostro bilancio, alle rigidità ragionieristiche nel pagare le imprese creditrici.
Mentre la Bce, grazie a Mario Draghi, ha messo in piedi delle armi non convenzionali (si pensi al prestito da mille miliardi), la politica eurotedesca si attiene ai codici di un trattato ormai superato. L’esempio dei tassi di interesse è istruttivo. Se Draghi avesse dovuto rispondere solo alle sollecitazioni di Berlino, ieri non avrebbe dovuto ridurre allo 0,5% il tasso di rifinanziamento Bce. A differenza nostra infatti, in Germania iniziano a manifestarsi le prime tensioni sul lavoro. I sindacati, grazie alla piena occupazione di fatto, pretendono per i loro associati aumenti retributivi importanti. È il primo sintomo di una ripresa inflattiva, che chiama tassi più alti e non più bassi. Eppure Draghi è andato avanti per la sua strada.

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