La sintesi più interessante sulla periodica guerra per il controllo del Corriere della Sera l’ha fatta uno dei banchieri che ancora contano in Italia: «Stiamo tenendo su questo palco a caro prezzo. Ma non si capisce per chi. Rcs ha rotto…». Altro che «rotto»: nel solo 2012 ha bruciato più di 250 milioni di ricavi, con una perdita netta di gruppo di 500 milioni (322 milioni di rosso l’anno precedente). E se i suoi numerosi soci non dovessero, come alcuni azionisti chiedono, approvare l’aumento di capitale da 400 milioni, gli amministratori dovrebbero portare i libri in tribunale. Ieri Diego Della Valle (ha l’8,6 per cento della Rizzoli) ha scritto una terza, dura lettera ai vertici della società: la strada per un’azione di responsabilità è tracciata. È un bel pasticcio. I soci sono in fibrillazione. Ma anche quelli più ostili all’aumento di capitale rischiano di finire in un angolo. E temono che quell’angolo sia stato studiato proprio per metterli a tacere. Non è un caso che buona parte dei soci privati, chi più chi meno, sia molto irritata: Della Valle in primis, ma anche i Pesenti, Merloni, Rotelli, Benetton. Insomma, chi deve aprire il proprio portafoglio (e non quello dei suoi azionisti) non riesce a capire per quale motivo metà delle nuove risorse debba andare a ridurre il debito delle banche e non a rafforzare la società editoriale. Se il primo socio Giuseppe Rotelli (ma in realtà la trattativa la sta conducendo l’avvocato Lombardi con qualche sfumatura diversa rispetto alle posizioni iniziali tenute dal grande imprenditore della sanità) non aderisse all’aumento di capitale, la sua quota (oggi superiore al 16 per cento) si ridurrebbe a circa il 3 per cento della Rcs ricapitalizzata. Discorso simile per Diego Della Valle, il cui 9 per cento si diluirebbe a meno del 2 per cento. Questo aumento di capitale fortemente diluitivo fa davvero male a chi non lo sottoscrive. È l’angolo da cui si deve scappare. Se i privati aderiscono all’aumento mettono altri quattrini in una società in cui contano poco e a beneficio delle banche finanziatrici. Se non li mettono vedono le proprie partecipazioni al capitale polverizzarsi e chiudere così la loro storia a via Solferino.
Il braccio di ferro è in corso. Della Valle ha certamente rotto il giochetto. Ma è difficile che riesca a condurre alle estreme conseguenze il suo tentativo. La Rizzoli portò già i libri in tribunale e nessuno dei soci ha voglia di giocare alla roulette russa generata da una procedura concorsuale. Ma d’altra parte Mediobanca, il secondo socio dopo Rotelli, sta giocando un ruolo di mediazione. A Piazzetta Cuccia (che non ha prestato un soldo a Rcs e dunque non ha benefici diretti dall’operazione così come ora congeniata) cercano di trovare una via d’uscita. Rendere l’aumento di capitale di Rcs meno penalizzante per i soci è davvero complicato: oggi il gruppo si trova nella stessa situazione di Fonsai prima del salvataggio. I 150 milioni di capitale residuo si bruciano in fretta. Le condizioni piuttosto onerose dei nuovi prestiti concessi dalle banche potranno essere leggermente riviste. Ma la «ciccia» per convincere i privati ad aderire dovrà essere ben altra: tutte le nuove risorse che arriveranno dall’aumento di capitale dovranno essere trattenute effettivamente in azienda. Evidentemente un cambio radicale negli assetti di potere del gruppo: meno banche, più privati. Di fatto una richiesta di questo tipo anticiperebbe uno dei piani già previsti nei salotti buoni della finanza milanese, e cioè lo scioglimento del patto di sindacato che governa il gruppo. E dunque anche un cambio dei consigli di amministrazione e dei vertici. Insomma, una rivoluzione. Materia incandescente per il numero uno di Mediobanca, Alberto Nagel, che in questi giorni sta cercando di portare a casa la difficile mediazione. Un primo segnale in effetti lo ha dato rifiutando, nei mesi scorsi, il progetto, molto ben visto dalla Fiat, di fondere il quotidiano diretto da Ferruccio de Bortoli con la Stampa. Ma la seconda parte del progetto potrebbe resistere anche in questa nuova ipotesi di appeasement. E cioè il cosiddetto spezzatino: smembrare il gruppo (le ipotesi sul tavolo sono diverse) in più parti, periodici, quotidiani, libri e bad company.
La partita non è ancora finita. È difficile, ma sulla carta non impossibile, che Fiat e soci bancari vadano sotto in assemblea per l’aumento di capitale. È possibile che i soci oggi dissenzienti alla fine siano costretti a fare la loro parte, per non scomparire. È certo che il patto di sindacato che lega gli azionisti sia morto. È scontato che la battaglia per il controllo del Corrierone sia partita. Già da questa estate si ballerà.

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