Chi segue questa zuppa da alcuni anni sa che cosa abbiamo (in buona compagnia del solo Foglio di Giuliano Ferrara) scritto della presunta truffa Fastweb da due miliardi. Conosce i nomi di Silvio Scaglia, Mario Rossetti e Stefano Mazzitelli.

Sa che sono stati arrestati nel cuore delle notte del febbraio di tre anni fa e sbattuti in carcere. Sa che Scaglia prese un aereo privato per tornare dalle sue vacanze e consegnarsi agli inquirenti per raccontare (inutilmente) le proprie ragioni. Chi ci segue sa come Fastweb (e in misura quantitativamente relativa Telecom) ha rischiato di essere commissariata, distrutta. La storia ve la riassumiamo senza nessuna pretesa di completezza giuridica. Una banda di malfattori ha utilizzato i servizi forniti da Fastweb e una controllata di Telecom per montare una gigantesca evasione Iva. La procura di Roma al gran completo e in gran spolvero ha costruito un teorema: i vertici delle società di telecomunicazioni sapevano del raggiro ed erano complici. Per questo motivo sette manager delle tlc (molti dei quali con nuove occupazioni) sono stati preventivamente sbattuti in carcere e lì tenuti per circa un anno (compresi i domiciliari). Senza uno straccio di prova, se non il teorema della Procura. Nel frattempo sono stati sequestrati loro tutti gli averi, le società, le quote, i conti correnti. Scaglia, Rossetti e Mazzitelli (solo per citarne tre) sono stati per un anno (e finanziariamente fino a poco tempo fa) dei morti sociali che camminavano. E ieri il tribunale di Roma ha più o meno detto: abbiamo scherzato. Tutti e sette assolti per non aver commesso il fatto.

Vedete, i pm fanno il loro lavoro. Anche se qualche volta esagerano. Il procuratore aveva perfino chiesto pubblicamente «consenso sociale», cioè la piazza, per l’inchiesta che stavano conducendo i suoi sostituti. Ma il caso Fastweb (a proposito così è stato conosciuto da tutti come se Telecom non ci fosse, ingiustamente, anche lei) ha dimostrato in modo lampante come si debba ragionare seriamente sul funzionamento della giustizia. Le tesi dell’accusa (come ha denunciato un’altra vittima dell’accanimento giudiziario, il generale Mario Mori) diventa immediatamente la tesi della verità. I media non pensano, non riflettono, non investigano, copiano gli atti dell’accusa. Gli indagati diventano subito colpevoli. Chiunque conoscesse le carte della difesa, sarebbe stato in grado in un secondo di verificare l’enormità dell’accusa. Ma andiamo oltre. Anche i pm hanno un obbligo legale di ricercare la verità. Come hanno potuto aver avuto così poco buon senso (sì sì certo, non c’è un articolo del codice che lo prevede) nell’applicare misure cautelari così dure? Gli imputati sono stati tosti. Hanno resistito al carcere e non hanno accettato sconti, patteggiamenti, ammissioni. Non sono passati per la strada più facile. Hanno pagato un prezzo altissimo dal punto di vista personale. Una piccola lezione, l’ennesima, ma forse la più clamorosa: una persona, un’azienda, un processo non si giudica solo dalla carte dell’accusa. Ma continuando a fare il nostro mestiere. Il processo Fastweb per il momento è finito. Un terzo della nostra popolazione carceraria è dietro alle sbarre senza una sentenza definitiva come Scaglia e soci. Forse prima dell’amnistia ci si potrebbe occupare di questa mostruosità giuridica.

Ps: Ieri il quotidiano della Confindustria e delle imprese ha dedicato alla clamorosa assoluzione l’ultima brevina della prima pagina e un pezzo non firmato, ma siglato a pagina 40. Per gli industriali la ritrovata onorabilità e l’ufficiale innocenza di uno dei suoi uomini più brillanti e più noti vale meno della promozione di Obama a Letta, del via libera della grande coalizione in Germania, della Finanziaria e di una gustosa guida alla sua lettura, della trattativa Stato-mafia, di un’intervista al ministro Lupi imperdibile visto il titolo: Cantieri, risorse alle priorità; di una mozione sull’Opa dell’onorevole Mucchetti. E ancora: della questione Alitalia, delle norme Ue a tutela dei consumatori, delle fondamentali dimissioni di Monti da Scelta Civica e dell’ennesima nuova inchiesta su Berlusconi. Ecco, dopo tutto ciò arriva l’ultima breve di pagina uno: Processo Fastweb, assolto Scaglia. Oggi sarà tutta un’altra storia.

Il giorno dopo l’assoluzione Fastweb ha comprato una pagina intera sui principali quotidiani per gioire della ritrovata innocenza. Ovviamente per una svista, il Giornale non ha ricevuto medesima pagina pubbliciaria. E’ un gesto di grande signorilità, quello di Fastweb intendiamo, di non serbare alcun rancore per Repubblica, Messaggero, Sole, Stampa … che descrissero i loro capi come dei boss mafiosi. Ed è comprensibile dimenticarsi di uscire in contemporanea sul Giornale che fu ostile quando Scaglia gestiva, in modo opaco, l’azienda, ma divenne supporter quando fu carcerato ingiustamente (come questa zuppa, con relative date può testimoniare). Ci sorge un dubbio. Ed è il solito. Terminata la buriana, i dirigenti di Fastweb devono pur vivere e dunque fa comodo accucciarsi al politicamente corretto della grande stampa (che nel giro di poche ore si dimenticherà dello scempio fatto sul caso Fastweb). E la giostra riprende. Fino ai prossimi arresti. Senza che nessuno si ricordi dello schifo e dei corifei di questa disgustosa storia mediatico-giudiziaria.