Befera, il potente numero uno dell’Agenzia delle entrate, veste Prada. Almeno da qualche mese. Tocca capire se, grazie a queste abitudini, alla coppia Bertelli & Prada, verrà riservato lo stesso trattamento, decisamente rude, usato ai cuginetti Dolce & Gabbana. Non ci avete capito nulla? Comprendiamo. Andiamo dunque in ordine.
Ad aprile dell’anno scorso gli uomini della finanza si presentano nello studio del commercialista Marco Solomoni. E scartabellando tra i suoi Docks e nei suoi computer trovano molto materiale interessante. Solomoni è uno dei professionisti che ha costruito la rete di società estere del gruppo Prada. Bisogna sempre specificare, in questi casi, come nel passato la nascita di holding e subholding fuori dall’Italia da parte di nostri imprenditori oltre a essere pratica diffusa (per motivi fiscali ovviamente) a certe condizioni (che in quel Paese ci fosse una vera e propria struttura e non solo una segretaria) era pratica legittima. Con il tempo gli uomini di Befera, le sentenze della Cassazione e qualche norma dal sapore retroattivo hanno reso queste costruzioni illecite. A ciò si aggiunga che l’inasprimento della lotta all’evasione, con le campagne di manette agli evasori, ha reso anche penalmente rilevanti comportamenti leciti del passato. Chiaro? Insomma. Continuiamo.
Gli uomini del nucleo di polizia tributaria si presentano negli uffici del commercialista Solomoni per tutt’altra questione, ma si imbattono nella struttura dei Prada.
Passa qualche mese e il 20 dicembre, mentre si festeggia a Saint Moritz e si sta al buio a Cortina, esce una nota (clandestina sui giornali) in cui il gruppo Prada dice di aver rimpatriato volontariamente una subholding e raggiunto un accordo transattivo con il fisco. Secondo quanto risulta a questa zuppa, la procedura si chiude a metà dicembre a Roma all’Agenzia delle entrate: i Prada, staccano un assegno vicino ai 500 milioni di euro e ritengono di aver pagato il dovuto.
Ieri si scopre che Patrizio Bertelli, ad del gruppo, e Miuccia Prada sono stati indagati dalla Procura di Milano. Tutto sotto controllo, si fa capire. È un atto dovuto. Inoltre l’ipotesi del reato contestato è l’omessa dichiarazione dei redditi (fino a tre anni di reclusione) e non la più grave frode fiscale. La cosa può finire con una pacca sulle spalle (più leggera di 500 milioni). Inoltre proprio Francesco Greco, il supercapo della procura in materie fiscali, sta predisponendo con la sua commissione (rinfrescata anche da Enrico Letta nel suo ultimo discorso parlamentare) una sorta di immunità penale per coloro che si autodenunciano di irregolarità e occultamenti fiscali all’estero. Ma, sempre secondo una bozza di disegno di legge in circolazione, questa immunità varrebbe solo per l’omessa denuncia e non già per la frode fiscale. Prada salvi.
Inoltre con le regole attuali la cosiddetta voluntary disclosures (l’autodenuncia) permette un taglio delle sanzioni amministrative alla metà dei minimi.
Avete capito il giro del vapore? I Prada si sarebbero autodenunciati, avrebbero pagato il dovuto con sanzioni ridotte, subiranno un’inevitabile indagine penale, ma hanno la chance di veder cancellata anch’essa, grazie a un prossimo scudo penale studiato da una commissione il cui presidente è il procuratore Greco, dal cui palazzo è anche partita l’indagine nei confronti di Prada.
C’è un piccolo dettaglio in tutta questa storia che rischia di inceppare il meccanismo, secondo quanto sussurrano dalle parti delle Procura di Milano. L’autodenuncia deve avere un carattere di spontaneità. Insomma molti imprenditori si stanno presentando a Roma, come i bambini che hanno fatto le marachelle e vanno all’Agenzia delle entrate autodenunciandosi e mostrando il ditino ancora sporco di marmellata. Ma se quel ditino, elegantemente immerso nella vellutata, è stato preventivamente pizzicato dagli uomini di Befera il pentimento crolla. In fondo sono buoni tutti ad autodenunciarsi, una volta scoperti. Formalmente, a quanto è dato sapere, nessuno aveva aperto un’indagine su Prada. Ma sostanzialmente l’attivazione della procedura di autodenuncia avrebbe preso corpo solo dopo la perquisizione fatta al commercialista della nobile famiglia.
È molto dura per uno dei pochi, ma convinti, partecipanti alla pagina di Facebook, siamo tutti pazzi delle caviglie di Mrs Prada, pensare che l’omonima famiglia possa aver commesso qualche cosa di illecito. Certo occorrerà spiegare al consiglio comunale di Milano e a qualche suo assessore di non riservare a Miu Miu lo stesso trattamento D&G. Per il quale la municipalità (dopo una condanna in primo grado dei due stilisti per questioni simili) aveva detto di volere negare gli spazi comunali. Siamo certi che i Prada se la caveranno senza condanne, senza tribunali, senza titoloni sui giornali, senza evasioni.

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