Dopo vari processi e una condanna la Perocura generale della Repubblica ha chiesto, a sorpresa, l’assoluzione di Dolce e Gabbana per reati fiscali.

Praticamente negli stessi giorni altri magistrati dell’accusa hanno chiesto e ottenuto gli arresti per un gruppo di manager pubblici e professionisti che negli ultimi dieci anni hanno costruito mezza Lombardia: non avrebbero rubato un euro, ma gestito in modo poco ortodosso appalti e gare. Le due storie sono legate dalla percezione ormai diffusa che la giustizia sia in Italia una roulette russa. I magistrati ci mettono del loro, ma sono i politici che piazzano la pallottola nel tamburo. Le norme, soprattutto quelle che riguardano fisco e appalti, sono talmente incasinate che si rischia di essere colpevoli e innocenti al tempo stesso.

In sei anni sono stati costruiti in Lombardia la bellezza di 10 nuovi ospedali. Tirati su in tre anni contro una media italiana di dodici. Il costo per posto letto è inferiore di circa il 30% rispetto al resto del Paese. Infrastrutture Lombarde, guidata per nove anni da Antonio Rognoni, era come speedy gonzales. Proprio questo signore, insieme ad una pattuglia di professionisti, è da qualche giorno in galera. Il pool dei magistrati milanesi che lo ha messo sotto indagine è serio e scrupoloso. Cosa sta succedendo? Abbiamo una brutta impressione e ve la spiattelliamo. In Italia ci sono due strade per fare impresa. Soprattutto con soldi pubblici. Il rito meneghino, quello alla Rognoni, per cui le cose si fanno, e anche a buon prezzo. Ma piegando le norme all’efficacia, all’esecuzione del progetto. È una strada pericolosissima per chi la intraprende, ma che alla fine porta risultati per i cittadini. E il rito romano, fatto di Tar, consigli di Stato, rispetto pedissequo della regola, di anni e anni di ricorsi e burocrazie, di consulenze a peso d’oro e di opere incompiute. Pessimo per la collettività, ottimo per i professionisti che ci sguazzano dentro. I magistrati fanno il loro lavoro e ovviamente non possono tollerare il rito meneghino. Ma noi? Il successore di Rognoni, non ci prendiamo per i fondelli, avrà la penna che gli trema. Non firmerà alcunché. Non si assumerà alcuna responsabilità.

Mentre Rognoni è in galera Dolce&Gabbana vedono sventata la sciagurata ipotesi di finirci per reati fiscali. Il procuratore ha chiesto la loro assoluzione in appello. Più volte abbiamo scritto dell’assurdità di quella costruzione accusatoria. Più volte abbiamo denunciato l’ipocrisia di quell’assessore che disgustato non voleva concedere spazi milanesi agli stilisti. Oggi resta l’amaro in bocca. Lo stesso che potremmo avere, tra molti, troppi anni, se Rognoni dovesse essere assolto. Ci saremmo trovati di fronte ad un nuovo caso Scaglia-Rossetti. Oggi, come allora, nessuno si spreca a sentire le ragioni della difesa e tutti bevono per oro colato le risultanze dell’indagine. Indagati già condannati prima di un regolare processo. Come per D&G è del tutto chiaro che Rognoni non possa non essere colpevole.

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