Venerdì il governo darà via al cosiddetto Sblocca Italia. Nomi altrettanto evocativi sono stati dati a decreti precedenti.

Nonostante ciò l’Italia è ferma al palo. Il governo Renzi ha fatto un passo in più rispetto ai predecessori: ha restituito agli italiani (o meglio solo a una certa fascia ben identificata) 10 miliardi di euro, in forma di riduzione fiscale. Non è poco. Eppure il Pil, il nostro reddito, è diminuito. Siamo tornati in recessione.

Purtroppo il motivo è semplice: gli italiani non si fidano più. Cerchiamo di essere un po’ più specifici. Ogni riduzione fiscale dovrebbe generare una maggiore propensione media al consumo. E per questa via creare maggiore prodotto e reddito. Si spende di più, le aziende così vendono e assumono. La riduzione fiscale di Renzi (prevista anche per gli anni prossimi) serve a poco per il Pil e molto per chi comunque la incassa e gode di un extrareddito disponibile. Gli effetti microeconomici della riduzione fiscale ci sono (chi incassa gli 80 euro ha un beneficio relativo rispetto al non incassarli), ma non quelli macroeconomici (il dato aggregato sui consumi e dunque sul reddito non migliora).

Questo apparente paradosso nasce da due motivi fondamentali, Che poi sono quelli che portano alla fine degli anni 50 Milton Friedman a criticare il pensiero comune sulla funzione di consumo dei Keynesiani. Friedman elaborò il concetto del reddito permanente, poi sviluppato dai macroeconomisti classici con l’inserimento della teoria delle apsettative, secondo il quale la propria propensione a consumare non dipende solo dal reddito di questo istante, ma anche da quello che ci attendiamo per il futuro. Fino a quel momento il consumatore era più o meno un cretino, non lungimirante. L’idea che il consumo corrente sia dipendente anche da quello passato e soprattutto da quello futuro, per quanto incredibile, non era contemplato dalla teoria ancora oggi predominante, dei keynesiani. Secondo Friedman un cambiamento nel reddito corrente influenza il consumo corrente solo se altera la ricchezza.

In parole povere ci sono due motivi di fondo per i quali il bonus fiscale di 80 euro non ha portato benefici macro. Uno lo spiega il presidente della Confedilizia, quando dice che il valore del patrimonio immobiliare italiano (che a buon titolo si puù definire la ricchezaz degli italiani) è crollato di duemila miliardi di euro (più del 100 per cento del Pil), grazie a tasse e patrimoniali varie. Il secondo è che (come dimostra il dibattito estivo) siamo incerti sul futuro fiscale che ci attende: nuove imposte, varate dai passati governi, ma solo oggi in vigore, contributi vari sulle pensioni, riforma delle regole sulle detrazioni fiscali rendono lo scenario tributario a 12-18 mesi fosco.

Ebbene nessuna riduzione fiscale avrà mai un effetto positivo sulla produzione se chi ne gode si sente, al tempo stesso, più povero e in prospettiva più tassato. (Friedman scriverebbe che il nostro reddito permanente è in declino, nonostante nel breve possa sembrare cresciuto).

Si può uscire da questa impasse ? La prima strada è quella di riscrivere un contratto fiscale con gli italiani (tutti, senza distinzione di censo) dicendo loro che le patrimoniali sugli immobili verranno riportate alla situazione pre 2011. Prendiamo atto che quelle imposte hanno impoverito gli italiani più di quanto abbiano arricchito lo Stato. Si dovrebbe poi concentrare lo sforzo di riduzione fiscale sulle imprese. L’elargizione degli 80 euro a dieci milioni di italiani (come bene aveva previsto nel 1958 Milton Friedman) ha un effetto moltiplicatore sul Pil molto inferiore di quello che avrebbe una riduzione fiscale più forte a un milione di imprese.

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