Non ci voleva il premier Matteo Renzi per rivelare il rito stanco che é diventata la riunione di Cernobbio. Modestamente questa zuppa lo scrive da anni, avendo calcato quel marciapiede per un paio di lustri.

Semmai, il premier ha avuto il merito di svelare autorevolmente ció che in molti intuivano. Strano, inoltre, che i giornalisti non si siano ribellati per tempo. In una sorta di apartheid dell’informazione, in quell’amena localitá, gli «ordinedotati» vengono piazzati ai margini, in recinti ad hoc, e ogni tanto sfamati con qualche boccone di carne. Ci vanno perche si é sempre fatto così e perché i loro editori, e talvolta direttori, vi vengono invitati.

Ma a parte questo, Cernobbio é la patria dell’ eurotrash senza se e senza ma. Ha creato il consenso verso la religione europeista, come «Lascia o Raddoppia» ha creato Mike Bongiorno. I sacerdoti di quel pensiero sono tutti là. É il luogo al mondo in cui non troverete mai, neanche per sbaglio, un pensiero laterale. Ma molte occasioni di relazione. Sia chiaro, Cernobbio (pensate un po’, un tempo ci inviavano una nota stampa per chiederci di scrivere il nome intero della manifestazione) ha lo stesso valore delle salottate di maggio organizzate da Confindustria, Bankitalia e via andando, o della ormai patetica Mostra del cinema di Venezia. Tutte manifestazioni che avevano un senso e forse un’anima decine di anni fa e che per la tradizionale pigrizia dei giornali, e qualche interesse residuo degli editori, ancora meritano pagine e pagine, al di là dei loro contenuti, ma per sola inerzia. Ma cosa é successo allora? Possiamo buttare a mare tutto? Cernobbio lo usiamo come approssimazione di un mondo che per un periodo ha voluto e sperato rappresentare la modernitá. Lo ha fatto attraverso la spinta del funzionarismo: chiamateli grand commis o manager poco cambia. Erano tutti tesi (come direbbe uno sketch di Verdone) a fornire una lezioncina non richiesta ai nostri imprenditori, quelli del boom economico. Secondo la rivoluzione manageriale il loro atteggiamento era provinciale. Si é cercato di spiegare loro che piccolo non é bello, che dovevano dotarsi di un management all’altezza, che dovevano internazionalizzarsi. Insomma, dovevano uscire dallo loro provincia per vedere cosa succedeva nel mondo. In un impasto di McKynsey, eurocrati e premi Nobel, si diceva che l’impresa italiana doveva fare un salto di qualitá. Chi ha seguito queste stupidaggini ha fatto un salto nel fosso. Volete che la mettiamo semplice? C’è bisogno di meno manager e di piú padroni, di meno slides e piú conoscenza del proprio cliente. Questo atteggiamento snobbistico nei confronti della nostra cultura d’impresa ha saldato politica (si fa per dire) illuminata e sistema creditizio. Le banche hanno prodotto una genia di fenomeni (strapagati) che hanno avuto la presunzione di modernizzare la nostra impresa, e hanno fatto fallire la loro.

Parliamo a vanvera? Prendete Esselunga. Una mosca bianca della nostra Grande distribuzione. Da chi pensate sia gestita? Dove credete che abbia copiato e migliorato le tecniche di vendita e di logistica? Chi credete che la freni? La mancanza di slides e il suo familismo o piú concretamente un apparato burocratico marcio? E potremmo citare molte altre imprese familiari italiane. Da Luxottica a Merloni (quella senza manager, che peró a Cernobbio c’é andata).

La sintesi della zuppa é che quando non c’é piú grasso c’é poco da scherzare e chiaccherare. Chissenefrega di Cernobbio e della sua arietta snob fatta da signori che l’azienda l’hanno vista da lontano, eppure ci vogliono spiegare come salvarla.

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Se c’é da ringraziare qualcuno, quel qualcuno oggi si chiama Mario Draghi. E non tanto per le tante palle sul cosiddetto quantitative easing . O per gli innovativi strumenti di prestito per le imprese, o sull’abbattimento dei tassi. Solo grazie a lui il nostro euro sta perdendo valore sul dollaro, recuperando cosí quel terreno perso contro i concorrenti americani. Agevolati dal deprezzamento forzato realizzato dalla Fed negli ultimi anni. Questa mossa sará davvero utile, se duratura, per le imprese italiane.

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Una domanda non retorica. Ieri Marchionne ha detto, si veda i pezzi del Giornale , che non basta vendere Ferrari e poi vedere le Formula 1 che non vincono niente. Avrebbe forse preferito il contrario? Piu vittorie in circuito, meno macchine in catena di montaggio? Boh. Giá che c’era poteva pure dire che preferiva viaggiare sui Frecciarossa.

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