Sapete che non siamo dei grandi amanti della gestione dell’aeroporto di Roma. Pensiamo che gli azionisti per troppi anni si siano occupato piú del rinnovo dei contratti di servizio che al servizio vero e proprio. Ma questa storia del rogo che ne sta compromettendo il funzionamento é una cosa da pazzi. La vicenda é semplice e se fosse ancora vivo Kafka ne trarrebbe un racconto, ben piu attuale del suo Castello. La situazione é che nelle prossime ore lo scalo dovrá funzionare al suo 60 per cento, i disagi per i passeggeri (soprattutto in una societá che non ha un track record favoloso nella soddisfazione dei clienti) sono ingenti, le ripercussioni di immagine per Roma devastanti, le conseguenze per le compagnie aeree in particolare per Alitalia che ha appena chiuso un accordo internazinale gravose. Insomma stiamo bruciando pil e credibilitá.
Tutto nasce in effetti proprio da un incendio, quello che divampa nella nottte tra il sei e il sette maggio scorso. Sono cose che non dovrebbero succedere, ma talvolta succedono. A Roma poi quando si appicca un incendio c’é una certa tradizione nelle devastazioni che esso comporta. In questo caso superano le piú nere previsioni. Dopo nove giorni i tecnici di Adr (cosi si chiama la societá che gestisce Fiumicino) permettono la ripresa dell’attivita al 100 per cento: d’altronde era passata piú di una settimana in cui il traffico aveva iniziato gia a soffrire di brutto. Il fuoco era divampato all’altezza dell’area commerciale (per chi ha bazzicato da quelle parti, accanto al negozio della Ferrari) e a ridosso del molo D nel terminal 3, quello dal quale partono i voli per l’europa. Quel molo é piuttosto importante: ad esso fanno riferimento la bellezza di 14 gate (le uscite per imbarcarsi sugli aeroplani) su un totale di 47 di
Fiumicimo. Era chiaro che all’adr non volessero perdere tempo: bloccarne l’utilizzo equivale a tagliare una mano al corpaccione, giá non proprio in forma, di Fiumicino. Gli uomini di adr commissionano ionoltre un monitaraggio dell’aria nel terminal ad una societá indipendente, che sostiene che tutto sia nella norma. Il 17 maggio (dopo otto giorni dal fattaccio) il controllore pubblico (enac) convoca una riunione con mezzo mondo: forze dell’ordine, adr, i vettori e si decide con l’avallo di un dirigente della competente Asl (quella di Ostia) di riaprire tutto.
Come finiamo ad oggi? Cioé a piu di un mese dal rogo. Con il sequestro del molo del terminal 3 e con il traffico passeggeri impazzito.
Dopo nove giorni da quella famosa riunione cellebrata dall’enac, la Procura di Civitavecchia sequestra il molo D (che garantiva il 100% dell’operatività) perché non ha ricevuto assicurazioni da parte delle autorità sanitarie sulla salubrità dell’aria e quindi ritiene che non si sia fatto tutto il necessario per garantire la tutela della salute degli addetti. Nel farlo il procuratore Amendola ha comunque escluso che il provvedimento sia scaturito dalla presenza di diossina. Nel frattempo infatti sono circolate voci di tutti i tipi: é spuntato l’amianto presente piú in alcuni comunicati sidacali che nei tetti di Fiumicino, e tonnellate di diossina. Ma sono spuntati piú sulla stampa che sulle ricerche dei tecnici. Tanto é bastato per creare un famus insalubre e giudiziario per quel molo. E vai con il sequestro. É iniziata da quel momento un attivitá di rimpallo di responsabilitá incredibile. A distanza di più di un mese nessuna autorità sanitaria pubblica ha ancora fornito dati definitivi e certi sulla qualità dell’aria e due sere fa, dopo una lunga riunione, il solito Enac ha certificato sulla base di analisi effettuate da centri specializzati tra i quali Cnr, Arpa e Asl di Viterbo (laboratorio di igiene industriale) oltre la Hsi consulting (il primo consulente della proprietá)che non vi sono particolari criticità per la salute.
Ma nulla si puó contro la decisione della Procura. La parola magica é: misura precauzionale. In mancanza di qualche funzionario pubblico che si assuma una personale responsabilitá, il terminal é sotto sequestro. E chi aveva detto, il dirigente della Asl in quella famosa riunione di domenica 17 maggio, che si poteva riaprire, adesso sembra meno propenso a certificare la salubritá dei locali. Anche se pochi gionri fa, lo aveva in pratica fatto, come risulta da un verbale di quella riunione. E poi le certificazioni fatte dai privati, per l’autoritá giudiziaria valgono evidentemente poco-nulla.
Signore e signori questa é l’italia. Scoppia in incendio (male), ci si sbriga a togliere la cenere e i fumi (bene), gli enti certificano che é tutto a posto, ma poi un’autoritá burocatrica (poco importa che in questo caso sia un magistrato) manda tutto in fumo e in ragione di un favoloso principio precauzionale chiude tutto. Chi se la sente di far lavorare qualcuno in quell’area se ci fosse diossina? Chi si assume la responsabilitá? Poi tra qualche mese magari scopriamo che non c’era nulla di nulla. Quante imprese, invisibili, sono morte per le eccessive precauzioni che i nostri burocrati tutti i giorni mettono in essere. Tante precauzioni, tranne una: quella di far campare le imprese che in fondo pagano loro gli stipendi. Sí certo questo é un argomento poco elegante.

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