Da una parte ci sono gli annunci, dall’altra i fatti.

Da una parte ci sono gli annunci, dall’altra i fatti. Un tempo la politica era talmente abile da non farsi scoprire.
Il gioco era semplice, quanto pericoloso: si spendeva troppo, sapendo che il conto lo avrebbero poi pagato le future generazioni. Troppo lontano nel tempo per pagarne le conseguenze: i politici italiani avevano preso in parola Keynes e la sua suggestione per la quale nel lungo periodo saremmo tutti morti. Il problema è che le future generazioni poi sono arrivate. E siamo noi. Debito pubblico, vincoli di bilancio, tassazione da incubo sono il conto che siamo costretti ad onorare.
Oggi gli annunci hanno dunque le gambe corte, cortissime. Il presidente del Consiglio ci ha sfidato: nessun governo, ha detto la settimana scorsa, ha tagliato le tasse più del nostro. È vero che Renzi ha sforbiciato e ha cavalcato la proposta berlusconiana di abolire l’Imu, ha ridotto l’Irap e introdotto una mini defiscalizzazione di 80 euro per alcune ben distinte categorie. Ma il record del virtuosismo fiscale proprio non gli appartiene. Ieri l’Ocse si è messa a fare i conti su una delle questioni fiscali più delicate per la crescita di un Paese e cioè il cuneo fiscale. Si tratta della differenza tra quanto un dipendente costa al suo datore di lavoro e quanto incassa il lavoratore. Negli ultimi cinque anni le cose, alla faccia dei trionfalismi tributari, invece che migliorare sono peggiorate.
Ovviamente conta il passato, il fardello che ci portiamo dagli ultimi vent’anni, ma proprio per questo converrebbe non fare i fenomeni. In Italia in questi cinque anni il cuneo fiscale sui dipendenti è cresciuto infatti di 1,8 punti percentuali, arrivando al record da incubo del 49 per cento. Per di più il resto d’Europa faceva meglio, tanto che la differenza con gli altri Paesi è passata dal 12 al 13 per cento. Ciò vuol dire che per le imprese italiane il costo del lavoro è più alto che per le loro concorrenti nei principali Paesi industrializzati e che per i nostri dipendenti il netto in busta paga è più basso di quello dei loro colleghi.

Uno scenario da incubo in cui le famiglie incassano poco e le imprese spendono troppo per il lavoro. Una combinazione micidiale che impedirebbe anche ad un gigante di crescere adeguatamente. Questi numeri il governo Renzi li conosce bene: ubriacarci di annunci rischia di far prendere una sbornia più all’oste che all’avventore.

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