1390335684-enjoyI trucchi per tenersi tutta la notte un’auto in “car sharing” sono gli stessi utilizzati per vendere notizie.

Questa settimana vorrei cucinare una zuppa digitale e prendere due temi diversi, ma legati da questa nostra nuova economia di cui tutti parlano.
Partiamo dalla sharing economy. Come tutte le novità, soprattutto se declinate in inglese, oggi sembra che non si possa vivere senza. Che poi di nuovo c’è poco: è l’economia delle cose messe in comune, condivise. Siccome non prevede la proprietà individuale, piace molto a quelli che sono cresciuti con l’idea che la stessa sia un furto. Meglio condividere un auto, che possederne una. Meglio avere un ufficio con tante postazioni diverse, che singoli loculi affittati da singoli professionisti. E così via.
La prima sharing economy in fondo fu quella degli anni 80, in cui a condividere gli aerei erano i miliardari. Ma quella roba là, non piace. Piú romantica quella dei contadini che si passavano di mano gli attrezzi per coltivare la terra, ma allora non esisteva l’inglese. Torniamo con i piedi per terra, anzi per strada.

Il caso di maggiore successo in Italia sono le auto condivise. Tra le prime a partire è stata Enjoy (ottima intuizione del gruppo Eni che ha preso spunto dalla tedesca Car2go). Come funziona, lo sapete: le 500 rosse sono piazzate in città. Con il telefonino si possono prenotare e si pagano 25 centesimi al minuto per il loro utilizzo. Le portiere si aprono con il proprio smartphone e le chiavi sono accucciate accanto al cambio. Dieci minuti di auto per 2,5 euro, con la libertà di parcheggiarla ovunque, a disposizione del prossimo cliente. Wow. In Italia però ci siamo inventati un trucchetto, per ora solo episodico, ma già vissuto da chi scrive più di una volta.
Qualche furbone della sharing economy parcheggia l’auto nel proprio garage. La cosa è ovviamente vietatissima. Ma lo fanno, lo fanno, come diceva Verdone emigrante in Germania quando gli rubano le borchie della sua Alfasud all’autogrill.

In sintesi questi furbetti prenotano la 500, la usano per il tempo dovuto e poi arrivati a casa terminano il noleggio (smettendo così di far correre il contatore), ma chiudono la macchina nel proprio garage. In questo modo sono certi che l’indomani, o anche dopo poche ore, nessun altro cliente gliela possa aver sottratta (che poi è lo spirito del car sharing). La 500 risulta prenotabile per il resto del mondo, ma il malcapitato che dovesse farlo, una volta arrivato nel luogo del noleggio, si troverebbe come un cretino a guardarsi intorno e cercare un auto che non c’è. È chiusa nel garage del furbetto. Roba da pazzi.
Quella di cui parliamo ora non è una furbata, ma una tendenza del tutto legittima, che dovrebbe peró preoccupare eccome i proprietari dei siti internet. Le cosiddette vetrine (le home page) non funzionano più. Un tempo si diceva che la «home» di un grande giornale, un editore, insomma un grande nome, fosse il modo migliore per acchiappare traffico da parte del popolo della rete. In tutto il mondo si digitava il nome del proprio quotidiano preferito e si andava su quella vetrina per aggiornarsi sulle cose che avvengono nel mondo.

Si può dire che oggi stiamo assistendo al fenomeno delle «sharing news». Ci spieghiamo meglio. Le home stanno perdendo appeal. Reuters ha fatto uno studio molto interessante sulla modalità con la quale il pubblico della rete acquisisce le news e come sono cambiate le cose dal 2013 al 2014.
Il caso italiano è emblematico: il numero degli internauti che si inforna passando dalle home page dei siti di informazione è crollato del 57% passando dal 74 al 32 per cento. Francia e Germania hanno subito anche esse drammatici cali, ma restano entrambe sopra quota 40 per cento. Insomma i social, come Facebook, e gli aggregatori di notizie libere, come Blasting news, saranno i grandi editori di domani.

Anzi di oggi.

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