Ci sono due mercati: quello dei beni, che si può e si deve regolare e controllare e quello delle idee che è intoccabile.

Il sindaco di Londra ha vietato a una ditta di integratori alimentari di affiggere dei cartelloni pubblicitari nella metro londinese, che ritraevano una bellissima modella in bikini giallo.
Il messaggio del corpo perfetto che ne derivava è stato considerato pericoloso.

Nessuno, nonostante le polemiche, si è permesso di sostenere che il Mein Kampf non debba essere pubblicato, o il libretto rosso di Mao, nonostante milioni di morti che le idee contenute in quei libri hanno indubbiamente provocato. Ronald Coase, in uno stupendo libretto di suoi scritti appena tradotto con intelligenza da Ibl – dal titolo Sull’economia e gli economisti – in tempi non sospetti già ci raccontava questo paradosso. «In virtù dell’opinione che il libero mercato delle idee sia necessario per mantenere le istituzioni democratiche e, ritengo, anche per altre ragioni, gli intellettuali hanno mostrato una tendenza a esaltare il mercato delle idee e a svalutare quello dei beni». Il punto fondamentale, scrive Coase, è che gli stessi intellettuali che mai vorrebbero un’intromissione di una legge, di una authority, di un controllo su ciò che loro producono scrivendo, sono i primi a chiedere il più forte intervento dello Stato sul mercato dei beni. Ad esempio di quelli a loro più affini come la pubblicità commerciale.

Pensateci bene, a volere sintetizzare, ci sono due mercati, ci dice Coase. Quello dei beni, che si può e si deve regolare e controllare e quello delle idee che è intoccabile. È chiaro che il premio Nobel vorrebbe un’estensione della libertà dallo stato per entrambi, ma è davvero intrigante come Coase smascheri l’ipocrisia degli intellettuali buoni per il laisser-faire solo riguardo se stessi. «Se usiamo per il mercato delle idee lo stesso metodo che è stato raccomandato dagli economisti per il mercato dei beni, è evidente che la tesi a favore dell’intervento pubblico nel mercato delle idee è molto più forte di quanto non sia, in generale, nel mercato dei beni. Se proviamo a immaginare il sistema dei diritti di proprietà che occorrerebbe e le transazioni che bisognerebbe concludere per assicurare che chiunque diffonda un’idea o una proposta di riforma riceva il valore del bene che produce o sia ricompensato per il danno che ne consegue, è agevole vedere che, nel concreto, c’e molto fallimento del mercato. Situazioni di questo tipo normalmente inducono gli economisti a chiedere un ampio intervento pubblico». Ma perché il mercato delle idee è un’isola così felice? Per due ragioni, scrive Coase: la prima risiede nel banale interesse personale dei produttori di idee che sono molto più potenti e influenti sul governo di qualsiasi altra lobby e infine per la loro gigantesca autostima.

Favoloso Coase, da leggere. Tutto.

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