Dall’Ucraina alla Siria fino all’Iran, la narrativa mainstream corrente, in termini di geopolitica, vedrebbe la crescente aggressività diplomatica (e non solo) occidentale motivata anche dalla necessità di contenere un rinnovato avventurismo militare della Russia di Vladimir Putin, fresco di insediamento per il suo quarto mandato presidenziale, e dei suoi alleati. 1519932480-38e43e16efcaa419cb2c8aa9a2faa665Ma che questa chiave di lettura corrisponda più a necessità di storytelling che alla realtà fattuale è testimoniato da diversi fattori. Non secondari sono, ad esempio, i dati sulla spesa militare delle potenze del globo, recentemente emersi da un’indagine del SIPRI (Stockholm International Peace Researsch Institute), che raccontano una storia ben diversa. Secondo l’indagine infatti l’investimento della Federazione Russa in ambito militare sarebbe addirittura sceso nell’ultimo anno a 66,3 miliardi di dollari, il 20% in meno rispetto alla rilevazione precedente, dato che posiziona Mosca in quarta posizione a livello internazionale. Al primo posto della classifica rimangono invece saldamente gli Stati Uniti d’America con 610 miliardi di dollari. Cioè un investimento quasi dieci volte quello del Cremlino e il 35% della spesa militare globale e, per la prima volta dal 2010, non più in declino rispetto all’annata precedente. Inoltre, nella top ten della graduatoria, figurano i principali alleati di Washington. Tra questi: Francia, Regno Unito, Germania e Corea del Sud.

Con questi numeri si capisce come il precetto dell'”America First” di Donald Trump, non potesse che restare uno slogan, a prescindere dalle reali e sincere intenzioni del magnate al timone della Casa Bianca. D’altro canto in neppure un anno e mezzo di amministrazione Trump le tensioni globali sono incrementate in numero e in intensità piuttosto che ridursi e, alla vigilia dell’annuncio sul nucleare iraniano e dello spostamento dell’Ambasciata americana a Gerusalemme, questa è una tendenza che pare, almeno in questo momento, difficilmente reversibile. Ma la classifica ci fornisce anche altre informazioni. Ad esempio l’Arabia Saudita, insieme a Israele il primo partner mediorientale degli USA, si posiziona per la prima volta al terzo posto, davanti appunto alla Russia, con un budget investito di 69,4 miliardi di dollari. Un dato che desta attenzione vista la crescente aggressività dei sauditi in diversi scenari: sia nello Yemen infuocato dalla guerra civile, sia (ad ora solo a livello diplomatico) verso l’Iran.

LA CINA: RISPETTO AL 2008 BUDGET TRE VOLTE PIU’ ALTO

Altro dato importante è quello della Cina, al secondo posto con un budget di 228 miliardi di dollari annui e unico Paese ad avvicinare, sebbene ancora a distanza di sicurezza, gli inarrivabili Stati Uniti, con un incremento del 5,6% rispetto al 2016 e di tre volte rispetto al dato di dieci anni fa. Anche questo è qualcosa di cui tenere conto per comprendere in che direzione si stiano muovendo gli equilibri globali. La progressiva polarizzazione tra blocco occidentale e blocco eurasiatico non solo della forza economica, ma anche di quella militare, si palesa anche in questi numeri . Va comunque detto che le crescenti frizioni tra la Repubblica Popolare e i suoi vicini possono essere annoverate tra le cause di questa escalation cinese.

Ovvio, queste cifre, che comunque riguardano un arco di dodici mesi, non forniscono certamente il quadro complessivo del potenziale offensivo e difensivo dei singoli stati, che dipende anche e soprattutto, purtroppo, dalle disponibilità di armamenti nucleari (in questo caso la Russia sale al primo posto con oltre 7mila testate, poche in più rispetto agli Stati Uniti), ma segnalano però quale sia il trend. E il dato tendenziale oggi ci dice che, almeno sul fronte della spesa militare e al netto appunto dell’arsenale atomico o non convenzionale, quel mondo multipolare che dovrebbe porre fine al disordine mondiale nato dalla dissoluzione degli equilibri di Yalta è ancora di la da venire. Gli americani sono tutt’ora, come la recente azione lampo in Siria ha avuto modo di dimostrarci (e la mancata reazione da parte russa), quei “gendarmi del mondo” che abbiamo avuto modo di conoscere dal 1989 in poi. Per quanto tempo ancora, tuttavia, è difficile prevederlo.

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