IMG_0251L’Italia sta perdendo (di nuovo) la Libia. La Francia la sta (di nuovo) conquistando? È questo il verdetto più o meno unanime dei principali osservatori circa gli scontri che si sono verificati a Tripoli negli ultimi giorni. Un verdetto, probabilmente, azzeccato, se nulla dovesse cambiare. Ma come è potuto accadere tutto questo? Solo poche settimane fa gli italiani gioivano per il successo diplomatico dell’incontro a Washington tra il premier Giuseppe Conte e l’inquilino della Casa Bianca, Donald Trump, che aveva assegnato all’Italia il ruolo di primo attore nel difficile processo di stabilizzazione dell’ex colonia, in vista di una conferenza a Roma che, in autunno, dovrebbe tracciare le future tappe per lo Stato nordafricano. Una scelta che a molti era sembrata una rivincita su quella Francia che, trascinando gli Stati Uniti di Obama, aveva annientato nel 2011 il regime di Muhammar Gheddafi, i cui rapporti con il Bel Paese erano noti, consegnando la Libia, un tempo un esempio di stabilità per l’Africa intera, al caos.

Occorre però fare qualche passo indietro. L’Italia, sotto indicazione delle Nazioni Unite, ha scelto da tempo di riporre la sua fiducia e il suo supporto sul debole premier tripolitano Fayez Al Sarraj, un uomo il cui governo controlla a malapena la capitale, ma che gode della fiducia della “comunità internazionale”, ossia gli Stati Uniti e i loro alleati. La Francia invece, seguendo l’esempio di Russia ed Egitto, ha effettuato una scelta in controtendenza con la linea dei Paesi occidentali (cioè con i suoi alleati…) sposando la causa del generale Khalifa Belqasim Haftar, militare e uomo forte prima del regime di Gheddafi, per cui combatté contro il Ciad negli anni ’80, poi degli americani come figura da contrapporre al colonnello, il cui regime lo aveva condannato a morte. Tanto che, allo scoppio della rivoluzione nel 2011 lasciò gli Stati Uniti, dove nel frattempo aveva riparato, per unirsi ai ribelli e divenirne uno dei principali comandanti militari.

In questi anni Haftar, dopo aver sottratto diversi territorio alle milizie islamiste che hanno prosperato nel caos libico (fatto che lo ha reso un alleato naturale dell’Egitto di Al Sisi, per cui la principale preoccupazione è quella di tenere lontani dai confini egiziani eventuali entità radicali) e dopo aver stabilito di fatto il suo comando sulla Cirenaica, la zona orientale ricca di risorse naturali (“mezzaluna petrolifera”) che ha come capitale Tobruk, dove ricopre attualmente il ruolo di Capo di Stato maggiore, non ha mai nascosto le proprie mire su Tripoli.

Ora, il problema principale sorge forse dal fatto che, nonostante i maggiori giacimenti di petrolio, cui mirano sia l’italiana ENI (in Libia dal 1959), che la francese Total, si trovino nell’est del Paese, la compagnia petrolifera di Stato riconosciuta dalla cosiddetta comunità internazionale sia soltanto una, la NOC (National Oil Company), legata al debole Governo di Tripoli. Nel mese di luglio Haftar aveva minacciato di voler “spacchettare” la NOC, ma poi il problema era rientrato, con il generale che aveva restituito alla compagnia dei terminal petroliferi, in cambio di futuri ruoli di rilievo nella Banca Centrale Libica.

La conferenza di Parigi lo scorso 29 maggio, organizzata dai francesi, aveva visto il presidente Macron, alla presenza del generale Haftar e di Al Sarraj, annunciare elezioni nel Paese per il 10 dicembre, motivo per cui ora Haftar e i suoi protestano contro l’iniziativa italiana. L’attacco delle ultime ore della Settima Brigata ribelle su Tripoli va letto in questo quadro, considerando che la stessa brigata è considerata vicina a Tobruk e ad Haftar.

OBIETTIVO SPACCHETTARE LA “NOC”?

Potrebbe quindi esserci il tentativo di destabilizzare Tripoli, che ha il controllo della NOC, per arrivare forse a una divisione del Paese in tre parti, disegno coltivato da tempo in alcuni ambienti francesi: Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. Dividendo, nel contempo la NOC e assicurando il controllo della zona più ricca di giacimenti, in via esclusiva, all’esercito di Haftar. E quindi agli alleati della Francia (e della Russia). A proposito di Mosca, nasce forse dal teatro libico il riavvicinamento a Parigi. Ieri nel corso di una conferenza in Svezia, Macron ha ribadito l’intenzione di voler costruire un sistema di sicurezza europeo insieme alla Russia. Dichiarazioni che forse fanno comodo ora che c’è da sistemare la questione nordafricana.

L’ITALIA DEVE FAR VALERE I RAPPORTI CON TRUMP, AL SISI E IL CREMLINO

Proprio per questo ruolo del Cremlino, e dell’Egitto dove il vicepremier italiano Di Maio è stato recentemente e dove l’Italia ha grossi interessi energetici viste le recenti scoperte di nuovi giacimenti, il Governo Conte si gioca sulla partita libica molto della propria credibilità. Perché, dati i buoni rapporti sbandierati con questi due Paesi e con la presidenza americana di Trump, è forse su questi che dovrà intervenire per risolvere la situazione. Prima che questa precipiti.

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