È un libro da possedere assolutamente l’ultima fatica saggistica di Marco Pizzuti, “Biografia non autorizzata della Seconda guerra mondiale“, recentemente pubblicata da Mondadori. E non soltanto perché il suo autore (romano, classe 1971, ex ufficiale dell’Esercito italiano e dottore in Legge), autentico e appassionato ricercatore e storico indipendente, ha già all’attivo una serie di titoli che hanno raggiunto un notevole successo editoriale (oltre 200mila copie vendute solo in Italia e otto volumi attualmente in pubblicazione in 19 Paesi del mondo), ma perché questo è un lavoro che, senza scadere nel becero e facile complottismo o nella faziosità politica, ma anzi basandosi su una dettagliata analisi di fatti, documenti e coincidenze, è destinato a cambiare, per chi avrà la fortuna di leggerlo, la percezione di un periodo storico che, come tutte le guerre, è spesso dipinto, specialmente nelle opere destinate al grande pubblico, come uno scontro di tipo manicheo tra buoni e cattivi, male e bene.

IMG_2355Si tratta, insomma, del classico libro che il sistema mainstream non vi farebbe neppure sfogliare. E, proprio per questo, bisogna farlo. Perché, a prescindere dall’idea che ciascuno si potrà fare una volta girata l’ultima pagina, come sempre, la realtà è molto più complessa delle semplificazioni e dello storytelling ufficiale. Ma anche perché, come dice bene il titolo del penultimo capitoletto di questo interessante saggio, “la prima vittima della guerra è sempre la verità“.

La storia – spiega Pizzuti, raggiunto per un’intervista da chi qui vi scrive – purtroppo non è quasi mai oggettiva come si è portati a credere nell’immaginario collettivo, perché invece di limitarsi a descrivere i fatti per come sono andati realmente è costretta a distorcerli ad uso e consumo delle convenzioni e delle interpretazioni imposte dall’establishment di potere vigente. Ciò è particolarmente vero quando la ricostruzione storica verte sui conflitti più recenti poiché l’interpretazione di tali eventi deve servire a legittimare lo status quo in modo da far apparire i vincitori come santi e gli sconfitti come demoni. Le fake news e le manipolazioni dunque ci sono sempre state e con ogni probabilità continueranno ad esserci, come espressione della natura ferina dell’uomo e della legge del più forte. Dopo la Seconda guerra mondiale ad esempio, i vincitori avevano interesse a nascondere i propri crimini per apparire solo come i liberatori dei popoli oppressi e così è stato. Gli storici quindi, si sono dovuti attenere a quanto stabilito dal tribunale di Norimberga con una giuria formata da sovietici, americani, britannici e francesi in totale assenza di altre nazioni neutrali che avrebbero potuto garantire maggiore onestà e imparzialità di giudizio”.

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Già, i vincitori. Vincitori che, si apprende dal saggio di Pizzuti, potrebbero non essere stati poi così estranei ai vinti. Notevole e coraggioso, in proposito, il capitolo sui rapporti tra sionismo e fascismi, così come quello sulle relazioni tra le corporation statunitensi e il Terzo Reich.

Al pari di molti altri avvenimenti sistematicamente censurati fino ad oggi – continua l’autore – gli accordi di collaborazione tra ebrei sionisti e nazifascisti sono stati finalmente resi pubblici dal più grande editore italiano che con questo saggio ha finalmente ‘sdoganato’ uno degli episodi più nascosti ed imbarazzanti dell’ultimo conflitto mondiale. Peraltro, quando si intende ricostruire fedelmente la storia dell’ascesa del partito nazista, del suo Führer e della sua macchina da guerra non si può più far finta di non sapere che l’élite finanziaria internazionale e la grande industria americana sono stati i veri responsabili dello scoppio del conflitto. I documenti da me raccolti a tal proposito sono schiaccianti: L’IBM, la General Motors, la Ford, l’ITT, la DuPont, la Standard Oil e molte altre corporation USA collaborarono pienamente con il regime nazista cambiando semplicemente nome alle loro sussidiarie tedesche per mantenere attiva la produzione anche durante gli eventi bellici. Senza il denaro fornito dalle grandi banche d’affari e i mezzi (motori, cingolati, automezzi, carburante, etc.) assicurati dalle fabbriche americane, la Germania non avrebbe mai potuto scatenare un conflitto mondiale. Hitler infatti, per poter muovere le sue armate aveva assolutamente bisogno di petrolio e il colosso chimico della Farben ricevette la licenza per ricavare carburante sintetico dalle miniere di carbone dalla Standard Oil dei Rockefeller. Il fatto più scandaloso è che Wall Street esercitò pressioni sui comandi militari alleati per impedirgli di bombardare le fabbriche americane della Germania che stavano sostenendo lo sforzo bellico nazista. Così quando i soldati americani sbarcarono in Normandia rimasero esterrefatti nello scoprire che molti dei mezzi tedeschi erano di produzione statunitense e non poterono credere ai loro occhi quando trovarono lo stabilimento della Ford di Colonia totalmente integro e perfettamente funzionante in una città completamente rasa al suolo dai loro bombardieri. Non va poi dimenticato che in quelle fabbriche americane sul suolo tedesco, veniva sfruttata la manodopera a bassissimo costo dei prigionieri di guerra tedeschi e degli ebrei dei lager“.

Ma chiaramente diversi sono tanti altri gli aspetti oscuri della guerra, che Pizzuti racconta e documenta in maniera dettagliata e con stile intrigante.

I fatti – sostiene ancora Pizzuti – dimostrano che la Germania perse la guerra proprio a causa di Hitler. La prima volta fu nel 1940, durante la famosa battaglia di Dunkerque quando il dittatore fermò l’operazione a tenaglia dei suoi panzer prima che potessero chiudere tutto il contingente alleato all’interno di una sacca. La Francia era già sconfitta mentre la Gran Bretagna sarebbe stata costretta alla resa incondizionata e immediata. Gli storici invece hanno scritto che Hitler fermò i carri perché avevano assoluto bisogno di riorganizzarsi e che gli anglofrancesi si salvarono eroicamente. Niente di più falso e per dimostrarlo nel saggio ho riportato le dichiarazioni dei generali tedeschi che cercarono con ogni mezzo possibile di evadere il folle ordine di Hitler. L’attacco contro la Russia invece si rese necessario, perché i documenti desecretati di recente hanno rivelato che contrariamente alla versione ufficiale, Stalin aveva mobilitato segretamente 240 divisioni (5.000.0000 di uomini e 10.000 carri armati) e si stava preparando ad attaccare la Germania alle spalle con l’operazione Groza (tempesta) mentre era impegnata contro la Gran Bretagna. Hitler lo anticipò di 2 settimane e per questo motivo l’operazione Barbarossa fu un grande successo. Le truppe sovietiche infatti si stavano ammassando sul fronte per una attacco di massa e i tedeschi riuscirono facilmente a circondarli e a chiuderli in delle sacche. Inoltre, Hitler aveva costituito dei rapporti sotterranei di amicizia con l’elite britannica, in particolare con il casato reale, (tesi peraltro non troppo dissimile da quella paventata dal professor Giorgio Galli, nel suo capolavoro “Hitler e il nazismo magico“, nda) e ciò fu la rovina per la Germania”.

La zona d’ombra della guerra lambisce, nel libro, anche la vicenda di Pearl Harbour, il cui mito drammatico è stato in anni recenti rinfocolato dall’omonimo capolavoro cinematografico.

Per quanto scarsamente noto – prosegue lo scrittore – il presidente Roosevelt proveniva da una grande famiglia di banchieri e di industriali di Wall Street. In pratica, era un esponente di spicco dello stesso complesso finanziario industriale che aveva sostenuto Hitler e la sua macchina bellica. Per Wall Street insomma, l’entrata in guerra dell’America era un ghiotto affare ma la Costituzione USA vietava qualsiasi tipo di azione militare offensiva e Roosevelt non poteva entrare in guerra senza un casus belli che lo giustificasse. Per questo motivo ordinò ai suoi ammiragli di provocare il Giappone con il Piano McCollum e lasciò una piccola flotta a Pearl Harbor come esca. Prima del bombardamento giapponese sulla base hawaiana infatti, la popolazione americana era fortemente contraria a un coinvolgimento diretto degli USA nel conflitto e il massacro di americani con il ‘vile attacco a sorpresa’ dei giapponesi era esattamente ciò che gli serviva per far cambiare idea all’opinione pubblica. Quando i giapponesi decisero di reagire alle provocazioni (continui sconfinamenti di navi militari USA in assetto di guerra), i servizi segreti americani avevano già intercettato numerosi messaggi sui loro piani e conoscevano perfettamente il giorno e il luogo dell’attacco ma non allertarono la base di Pearl Harbor. Secondo la versione ufficiale emersa dalle commissioni d’inchiesta conclusesi in dei clamorosi insabbiamenti, Roosevelt non venne mai a conoscenza del piano di provocazione ma di fatto è esattamente ciò che fece la flotta USA del Pacifico e le sue impronte digitali sono state trovate su ogni pagina del documento. Numerosi alti ufficiali hanno anche testimoniato la sua insistenza nel voler provocare il Giappone con ogni mezzo affinché compisse il primo atto di guerra. Le prove del suo coinvolgimento sono schiaccianti ma per ovvie ragioni di Stato, le istituzioni USA non potranno mai ammettere quanto realmente avvenuto“.

Sono questi argomenti e sono queste tesi che, solo fino a pochi anni fa, sarebbe stato impensabile rinvenire in un libro pubblicato da una delle principali case editrici italiane. Non è infatti semplice affrontare argomenti così “scomodi”. Eppure qualcosa sta cambiando.

Con mia grande soddisfazione – dice infatti Pizzuti – devo ammettere che la situazione è cambiata in senso favorevole perché non avrei mai immaginato di arrivare a scrivere per la Mondadori o di essere intervistato dai grandi giornali. Quando iniziai a occuparmi di saggistica infatti, certi argomenti erano ancora completamente tabù ma grazie all’inaspettato successo di lettori credo di avere contribuito enormemente alla creazione di un nuovo filone di pensiero italiano. Purtroppo i saggi hanno un grosso limite perché sono destinati a una ristretta elite intellettuale (qualche centinaio di migliaia di persone contro decine di milioni) con i capelli bianchi e non bastano a coinvolgere le grandi masse su certe tematiche. Credo infatti che questo sia il motivo per cui vengo tollerato e non mi viene impedito di scrivere. In televisione invece, è ancora molto difficile riuscire a parlare liberamente sugli argomenti di geopolitica ed economia che toccano nel vivo gli interessi delle superpotenze e dell’elite finanziaria. Pertanto, è chiaro che più cresce il pubblico a cui si è diretti e più cresce anche la difficoltà a parlarne. Tuttavia, continuo a nutrire la speranza di riuscire a diventare autore di un programma televisivo d’informazione senza censure destinato al grande pubblico. Sono certo che sarebbe un grande successo e che cambierebbero molte cose ma sono anche perfettamente consapevole del fatto che ciò costituisce il principale ostacolo alla sua realizzazione“.

Insomma, oggi la ricerca di verità alternative a quelle della narrativa ufficiale, su temi sia di attualità (Siria, Libia) che storici, sta riscuotendo un discreto successo. E, in tal senso, senza nulla togliere ad altri valenti ricercatori, Marco Pizzuti può essere definito un pioniere e un precursore di quello che potremmo definire un approccio critico.

Milioni di persone – spiega – si sono accorte (le eccezioni confermano la regola) che nonostante l’esistenza di numerosi canali d’informazione mainstream, la versione dei fatti divulgata a livello ufficiale è sempre una sola e senza alcuna possibilità di critica. Ciò in una vera democrazia è un fatto anomalo e la pluralità dei mezzi di divulgazione non costituisce garanzia di pluralismo di contenuti e chi non ne può più del pensiero unico è costretto a cercare informazioni altrove. Il conflitto in Siria è un caso emblematico di questa situazione e quando mesi fa ho pubblicato un post sulla mia pagina Facebook in cui ho riportato le rivelazioni di Robert Kennedy sulle vere cause della guerra (Assad si è opposto al passaggio di una pipeline del Qatar che avrebbe leso gli interessi economici del suo alleato Russo a favore degli USA), il mio scritto ha raggiunto due milioni di contatti. Ciò dimostra come la puerile retorica dei buoni che intervengono contro i cattivi per salvare il mondo, ha fatto il suo tempo. Molta gente ormai ha capito che dietro ogni conflitto c’è sempre un interesse economico o geopolitico di notevole importanza che viene giustificato di fronte all’opinione pubblica mediante la creazione di nemici malvagi da abbattere ad ogni costo per salvare i diritti umani (vedi Saddam Hussein, Gheddafi, Assad eccetera). Non so tuttavia quanto io abbia contribuito a questo processo di maturazione collettiva, ma sicuramente sono tra i primi che hanno fatto la loro parte in tal senso e ho ancora molto da scrivere“.

E, vista la qualità e il coraggio dei suoi lavori, c’è da sperare che lo faccia. Per molto e molto tempo ancora.

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