Gerusalemme, il Presidente Usa Donald Trump incontra il premier israeliano NetanyahuA che cosa serve realmente il tour di John Bolton in Medio Oriente? Ufficiosamente si tratta di gestire il (presunto) ritiro delle truppe USA dalla Siria, annunciato da Donald Trump. Forse, però, c’è qualcosa di più. Le tappe previste per il Consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca sono significative: Israele, in primis, poi Turchia (che ha rifiutato l’incontro…), Giordania ed Egitto, dove, al termine della missione, Bolton dovrebbe fare degli importanti annunci.

Si tratta, comunque, dei principali alleati regionali di Washington (manca solo l’Arabia Saudita). La sensazione quindi è che il viaggio serva, oltre agli scopi più o meno dichiarati, anche a preparare la strada al rafforzamento di un asse che l’amministrazione USA vorrebbe costruire contro la Repubblica Popolare Cinese. Si era già detto su questo blog, del resto, che il ritiro americano dalla Siria era semplicemente il preambolo alla nuova guerra fredda che si prepara contro Pechino (e contro il progetto della Belt and Road Initiative, per il quale il Medio Oriente è un territorio fondamentale).

La conferma arriva da alcune indiscrezioni raccolte dall’Associated Press e rilanciate da Formiche, secondo cui Bolton “avrebbe chiesto al governo israeliano di evitare il più possibile accordi con le compagnie cinesi delle telecomunicazioni, in particolare Huawei e Zte”. Così, mentre a Pechino sono in corso le trattative per uscire dall’impasse della guerra commerciale tra le due potenze, la Casa Bianca butta benzina sul fuoco.

Lo fa anche perché Israele rappresenta un possibile futuro snodo della Belt and Road Initiative, una grossa preoccupazione per gli Stati Uniti. In proposito, riportava a settembre The Diplomat che “si prevede che la popolazione di Israele raddoppierà nei prossimi 30 anni. Richiederà un investimento di oltre 200 miliardi di dollari per soddisfare le esigenze di beni immobili, trasporti, energia, telecomunicazioni e altri bisogni infrastrutturali della popolazione. I suoi nuovi porti e le rotte commerciali verso il mondo arabo lo renderanno significativo come una via di accesso via terra verso l’Europa per il Medio Oriente”.

Inoltre “le sue attuali scoperte in termini di fonti energetiche e le potenziali scoperte future richiederanno importanti investimenti infrastrutturali per consentirne la piena commercializzazione. Entro il 2021, anche il cavo elettrico sottomarino Eurasia da 2000 MW che collega Israele, Cipro e Grecia sarà completamente operativo, consentendo a Israele di diventare un esportatore netto di elettricità in Europa. Oggi, la regione meridionale di Israele produce già oltre 200 MW di energia rinnovabile che viene sprecata. Entro il 2021 l’Eurasia Interconnector dovrebbe consentire un contributo significativo dell’energia pulita da Israele all’Europa. Questi sono sviluppi che stanno accadendo indipendentemente dalla BRI. La Cina potrebbe sfruttare chiaramente queste opportunità, legandole al progetto”.

Non bisogna poi dimenticare i pesanti investimenti cinesi nei porti di Haifa e Ashod, altra non indifferente fonte di preoccupazione per gli USA.

ISRAELE MIRA AL RICONOSCIMENTO DELL’OCCUPAZIONE DEL GOLAN

Chiaro dunque come, in questo scenario, il ritiro delle truppe USA dal contesto siriano sia una questione forse secondaria. Ammesso che poi avvenga realmente. Come molti degli annunci di Trump, infatti, anche questo è più probabilmente destinato a non produrre effetti immediati o, forse, a subire un ripensamento.

La chiave, comunque, è sempre Israele che, come si è già avuto modo di tastare, esercita un’influenza importante sull’attuale inquilino della Casa Bianca. Durante l’incontro con Nethanyahu, Bolton ha infatti tenuto a precisare che il ritiro delle truppe statunitensi dal teatro siriano avverrà solo a patto che l’ISIS sia definitivamente sconfitto e che sia tutelata la sicurezza dei curdi e dello stato ebraico. Dichiarazioni all’origine dell’indignazione di Erdogan, come ha segnalato Piccole Note, ma che fanno anche il paio con i tweet di Nethanyahu.

A destare curiosità, però, è soprattutto il “cinguettio” social con cui, lo scorso 6 gennaio, il primo ministro israeliano ha ribadito, premurandosi di allegarvi una foto con Bolton, che “le alture del Golan sono tremendamente importanti per la nostra sicurezza(…) non lasceremo mai le alture del Golan e perché è importante che tutti i paesi riconoscano la sovranità di Israele su di essa”.

Le alture del Golan, in territorio siriano de iure, ma occupate militarmente da Israele dal 1967, non sono riconosciute dalla comunità internazionale come appartenenti allo stato ebraico. Recentemente Nethanyahu ha richiesto all’amministrazione Trump di riconoscere questo possedimento, e la sua voce ha ricevuto l’eco di diversi senatori repubblicani.

Contemporaneamente alla richiesta del primo ministro israeliano è arrivata la dichiarazione di Bolton che il ritiro delle truppe USA avverrà in coordinamento con Israele.  Che la rinnovata alleanza israelo-statunitense in chiave anti-cinese possa partire dalle alture del Golan? Chissà. Dopo lo spostamento dell’ambasciata USA a Gerusalemme, neanche questa eventualità si può escludere del tutto.

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