DresdenNei giorni scorsi, in particolare quelli dal 13 al 15 febbraio, cadeva una ricorrenza drammatica per l’Europa. Una ricorrenza che, purtroppo, solo molto raramente viene menzionata, forse perché ancora considerata troppo “politicamente scorretta”. Insomma, uno di quei “crimini democratici” che non sta bene ricordare. Negli stessi identici giorni del 1945, infatti, un bombardamento alleato distruggeva per sempre uno dei tesori storici e architettonici del vecchio continente: la città barocca di Dresda. Un patrimonio dell’identità continentale raso al suolo da oltre 4mila tonnellate di bombe incendiarie ed esplosive, un anno esatto dopo il brutale abbattimento (15 febbraio 1944) dell’abbazia di Montecassino, il monastero fondato da San Benedetto da Norcia. Furono 21.271 i corpi umani ritrovati dopo l’apocalisse di fuoco. Ritrovati, appunto, perché molti di più furono quelli che finirono sepolti per sempre dalle macerie (corpi devastati dalle bombe sono stati scoperti addirittura fino al 1966…) o letteralmente inceneriti. Lo scopo dell’attacco, infatti, era quello di provocare l’effetto della “tempesta di fuoco”, realizzato grazie alle strette vie del centro urbano, alla massiccia presenza di edifici con parti lignee, ai tunnel sotterranei che funsero da propagatori per le fiamme. Konrad Adenauer, nel 1955, ipotizzò addirittura 250mila morti. Oggi le cifre ipotizzate sono di molto inferiori.

Resta e resterà per sempre, però, il criminale intento, una delle tante infamie che avvennero in quello scontro fratricida che mise uno contro l’altro i popoli del vecchio continente, di distruggere scientemente quello scrigno contenente secoli di storia. Una scelta dovuta, tra le altre cose, alla volontà degli alleati di piegare nel terrore il morale del popolo tedesco, mentre da est avanzava ormai inarrestabile l’Armata Rossa.

Quella di Dresda è una ferita che, dopo 74 anni, ancora sanguina nel petto del continente. Perché, sebbene sembrino ormai eventi lontani, nulla meglio di quelle rovine mai più ricostruite (se non in minima parte) può rappresentare la tragica fine dell’egemonia politica e culturale di quell’Europa che aveva scelto di suicidarsi nei due conflitti mondiali e negli errori e negli orrori delle ideologie del mondo moderno. Quell’Europa che per millenni aveva retto i propri destini e quelli del mondo, lasciando dietro di sé un complesso simbolico di chiese, città, cattedrali, castelli, regge, monasteri, abbazie, università e biblioteche, appendici concrete di una civiltà millenaria e delle sue declinazioni religiose e filosofiche, veniva asfaltata e annientata, a Dresda come a Montecassino, dalle bombe. Le macerie fisiche e morali dell’agonizzante spirito europeo aprirono la strada, dopo il conflitto, alle non-culture dei vincitori: a est della futura “cortina di ferro” all’egualitario grigiore sovietico e a ovest al mortale veleno del consumismo americano, entrambe rimpiazzate, dopo il 1989, da un veleno ancora più potente, il globalismo.

Così, mentre sulle città un tempo dominate dai campanili si stagliano gli anonimi grattacieli del nuovo stile architettonico “globale” e “democratico”, mentre i cittadini d’Europa si nutrono nei fast food con le insegne al neon, tutti rigorosamente vestiti nello stesso modo, con gli stessi auricolari e gli stessi telefoni cellulari, senza che nessuno li abbia formalmente obbligati e mentre alle grandi narrazioni e alle scuole di pensiero si sostituisce sempre più il cretinismo economico e tecnologico, viene da pensare a Dresda. A Montecassino. Al cuore profondo del nobile animo europeo. Un cuore schiacciato nel pugno del più crudele degli errori del ‘900: la guerra tra gli europei. Vinta infine e all’atto pratico solo da chi europeo non lo era.

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