Il G20 di Osaka, in Giappone, è finito da poche ore e da poche ore è terminato l’incontro tra Donald Trump e il leader della Corea del Nord, Kim Jong Un e già le tensioni tra Est e Ovest rischiano di riacuirsi con quanto accaduto a Hong Kong dove le dure proteste per un disegno di legge che prevedeva l’estradizione verso la Cina sono terminate con un attacco al locale parlamento. Nell’ex colonia britannica, tra i principali centri finanziari dell’emisfero orientale, ceduta dall’Inghilterra a Pechino nel 1997, potrebbe accendersi un nuovo focolaio di crisi tra Oriente e Occidente, come sottolinea anche PiccoleNote. Altamente simbolico, da parte dei manifestanti, lo sfoggio delle vecchie bandiere coloniali con la “Union Jack” britannica in bella mostra.

Una dimostrazione che, al netto, delle parole distensive arrivate dal summit dei leader mondiali in Giappone, la nuova Guerra Fredda tra l’impero atlantico da un lato e l’impero eurasiatico dall’altro, tra talassocrazie e tellurocrazie, non si può fermare. E sarebbe del resto quasi innaturale ritenere che possa essere fermata. Il segnale, però, di un dialogo trasversale all’interno di questi due schieramenti, tra Trump da un lato e Putin e la Cina dall’altro, effettivamente c’è. A parlare chiaramente in tal senso è stato lo stesso presidente russo che, in una recente intervista al Financial Times, ha spiegato come il principale nemico sia, a suo avviso, il “liberalismo” che “viene ormai usato come forza ideologica”.

Ma “la forza ideologica che ha fatto da motore all’occidente dal Novecento ad oggi si è spenta avendo esaurito il suo scopo mentre vaste fette di cittadini hanno iniziato a ribellarsi contro l’immigrazione, i confini aperti e il multiculturalismo”. Dunque “l’idea liberale è diventata obsoleta. È entrata in conflitto con gli interessi della stragrande maggioranza della popolazione”. E così il presidente russo ha di fatto espresso il suo appoggio alle politiche sull’immigrazione del rivale americano. Perché, se da un lato lo scontro geopolitico con gli Stati Uniti è quasi una questione genetica, dall’altro sia il Leviatano atlantico che il Behemoth eurasiatico devono entrambi confrontarsi con una nuova forza, figlia sì dall’ordine mondiale liberale anglosassone, ma ormai sostanzialmente autonoma rispetto a qualsiasi attore statale. È, per usare un altro parallelo con i titani biblici, la forza di Ziz, l’enorme bestia alata dominatrice dell’aria, simbolo della globalizzazione che corre nei cieli e nell’etere. Che corre sulla rete di internet.

lapresse - susca -

Lo scontro che si profila all’orizzonte, oltre a quello già (o, meglio, da sempre) in atto tra Eurasia e Occidente è, infatti, anche quello tra attori statali e attori non statali. Tra le grandi nazioni della Terra e gli apolidi potentati globali che, a esse, tentano definitivamente di sostituirsi. E così, mentre Facebook lancia l’idea di una nuova moneta virtuale, Libra, con l’ambizione di renderla uno strumento di pagamento mondiale, dalla “valle del silicio”, luogo in cui si è realizzata la totale sublimazione del liberalismo anglo-mondialista, della cultura dello sradicamento assoluto, con le sue impressionanti disuguaglianze tra l’elite tecnocratica che governa l’innovazione e poveracci sempre più senza tutele (San Francisco è forse la città con più senzatetto negli USA, circa 7.500, a causa dell’alto costo della vita provocato dalla presenza concentrata delle multinazionali dell’hi-tech), arriva la sfida a chi cerca di frenare la furiosa ed erinnica corsa verso l’abbattimento di ogni barriera, di ogni confine. Una sfida che deve preoccupare tutta l’umanità.

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