Sono ormai passati diversi giorni dalla designazione di Ursula Von der Leyen quale nuovo presidente della Commissione Europea. Una scelta che molti commentatori, in virtù dei ruoli da questa ricoperta nei governi di Berlino, hanno immediatamente presentato come una riproposizio1563298569-lapresse-20190716104416-29956319ne della leadership de facto della cancelliera tedesca Angela Merkel. Ma è proprio vero? In realtà, almeno stando a diversi segnali, sembrerebbe di no.

Tuttavia è necessario forse fare una digressione. Una decina di giorni fa si è aperta in territorio tedesco (nel colpevole silenzio dei media mainstream, come al solito in tutt’altre questioni affaccendati…) una storica esercitazione congiunta tra l’esercito tedesco e l’esercito della Repubblica Popolare Cinese. Evento che faceva seguito al rifiuto, da parte della Merkel, di schierare forze di terra in Siria come richiesto dagli Stati Uniti. Ma, soprattutto, un evento singolare e un segnale molto pesante dal punto di vista (geo)politico, considerando che la Germania è un membro della NATO e che la Cina è stata definita dal generale Mark Milley, appena confermato dal Senato di Washington come presidente dei capi di Stato maggiore congiunti degli Stati Uniti, la “principale sfida” per le forze armate statunitensi.

L’esercitazione è però l’ultimo segnale di una serie che rispecchia una certa volontà tedesca di conquistare maggiore autonomia rispetto allo storico alleato americano, in previsione di uno sviluppo multipolare dei rapporti globali tra potenze. Una volontà che, a partire dall’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump e dal successivo scontro commerciale con Berlino, si è palesata in maniera via via più netta. Si pensi ai contrasti con la Casa Bianca per l’Iran, al Trattato di Aquisgrana, manifestazione delle volontà egemoniche neo-carolingie di Berlino e Parigi sull’Europa continentale, al gasdotto North Stream 2 con la Federazione Russa, ai discorsi del fedele pur se ormai dimissionario presidente della Commissione UE Jean Claude Juncker sulla necessità di rafforzare l’euro per sfidare il dollaro…

Tutti segnali che, dopo il fallito tentativo di completa integrazione economica euro-atlantica dell’era Obama (con il TTIP), la Germania e la Merkel stavano guardando oltre. In questo scenario, il piano della cancelliera per l’Europa prevedeva ovviamente la successione a Juncker nelle mani di un candidato affidabile.

Poi, come noto, è andata diversamente e l’incarico è finito alla Von der Leyen. Che lungi dal seguire le (pur flebili) suggestioni “eu-russe” o euro-centriche della Merkel, è espressione non solo dell’austerità teutonica ma, soprattutto, di un atlantismo globalista assolutamente e rigidamente ortodosso. E questo fa di lei sia un’anti-Merkel, ma anche un’anti-Trump, il quale, pur perseguendo una strategia chiaramente imperialista è comunque considerato una sorta di incidente di percorso dalle più tradizionali elites atlantiche. Ai cui requisiti di affidabilità la neo-presidente, invece, risponde pienamente. Evangelica, sposata con un ex docente all’Università di Stanford, aristocratica ma con gocce di sangue “yankee“, è legata alla fazione più filo-americana dei circoli elitari teutonici.

Del resto basta pensare a quanto dichiarato da Gordon Sondland, l’ambasciatore degli Stati Uniti presso l’Unione Europea, per capire che qualcosa è cambiato. “Offre agli Stati Uniti e all’Unione Europea – ha detto Sonland a proposito della nomina della Von der Leyen – l’opportunità di ripristinare per intero i rapporti (…). Le cose avevano cominciato a ristagnare, avevano raggiunto l’impasse su diversi fronti. Penso che un cambio di guardia faccia bene per le relazioni. Potremo iniziare da un foglio bianco.”

E non è un caso che se, appena due mesi fa, la Merkel aveva ammonito la Commissione UE dal tentare in qualsiasi modo di stoppare il gasdotto North Stream 2, la Von der Leyen ha, tra le primissime dichiarazioni da presidente designato della stessa Commissione ha affermato che il gasdotto rischia di incrementare la dipendenza energetica dell’Europa dalla Russia…

Così, se il gruppo atlantista di Visegrad e la Lega sono stati strumentali a bocciare anche il socialista olandese Frans Timmermans, il gruppo altrettanto atlantista, ma a loro opposto, dell’ALDE (liberali) è stato strumentale a sostenere la nomina dell’ex ministro tedesco della Famiglia, della Difesa e del Lavoro.

E, così, l’Europa, con la cancelliera che si avvia a lasciare la politica e preda di improvvisi problemi di salute, dimenticando qualsiasi proposito pseudo-autonomista rispetto ai desiderata americani, torna pienamente in “carreggiata”, almeno dal punto di vista di Washington. E, proprio come si era pronosticato su questo blog all’indomani del voto europeo di fine maggio, la nuova UE si preannuncia più liberista, più tecnocratica, più russofoba.

E, senza dubbio, più americana.

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