ansa - manila alfano - PUTIN-ERDOGAN, SFIDA TRA LO 'ZAR' E IL 'SULTANO' SU ASSADRegge, di fronte alla difficile prova della Siria nord-orientale il rapporto tra Mosca e Ankara, tra la “Terza” e la “Seconda Roma”. Se dietro alla decisione statunitense di consentire un ingresso turco nell’area controllata precedentemente dai curdi poteva esserci la volontà di mettere in crisi la partnership tra Putin ed Erdogan, alla luce dell’incontro svoltosi tra i due presidenti martedì a Sochi questa sembra invece resistere. E così le cronache dicono che, se da parte turca “non c’è la necessità di nuove operazioni” contro i combattenti curdi dopo l’operazione “Sorgente di pace”, come ha fatto sapere il ministero della Difesa di Ankara con una nota ufficiale, da parte russa si è raggiunto l’accordo per una “safe zone a Oriente dell’Eufrate per oltre 400 chilometri lungo il confine con la Turchia.

Il risultato, allo stato attuale, è che l’esercito regolare siriano è rientrato in una città simbolo della resistenza curda, come Kobane, la Turchia ha ottenuto il controllo di una fascia di territorio estesa oltre 100 chilometri e profonda 30 e gli unici a perdere terreno, rispetto alla situazione pre-intervento delle forze turche, sono stati i curdi che ora devono lasciare, sotto il vigile sguardo dei militari russi, le città di Tal Rifat e Manbij.

Il futuro della Siria, dunque, si ridisegna sull’asse tra il Bosforo e il Cremlino, che ha saputo, nonostante la sorpresa, cogliere le opportunità della scelta di Trump di inizio ottobre di ritirare i soldati americani. Già, e gli Stati Uniti? La decisione di ritirare le truppe verso l’Iraq si è rivelata contrastata da buona parte dell’establishment di Washington, che sui curdi aveva puntato con decisione nell’ottica di uno smembramento della Siria. Un ritiro che resta comunque ambiguo visto che, come riporta, tra gli altri, Avvenire, lo stesso Donald Trump sta valutando un piano per “impedire il ritorno del Daesh nella regione a seguito dell’invasione turca ed impedire alle forze del governo siriano, con il sostegno dell’alleato russo, di prendere il controllo dei pozzi petroliferi nella regione. Vale a dire mantenere parte dei soldati a controllare ciò che più interessa agli statunitensi: pozzi di petrolio, come ha annunciato su Twitter lo stesso The Donald.

Tuttavia se l’inquilino della Casa Bianca, alle prese con le necessità contingenti di una ormai prossima campagna elettorale per la rielezione, che mal si conciliano con l’interventismo militare, sembra o per lo meno deve mostrarsi soddisfatto dei risultati conseguiti (il presidente americano ha parlato di “grande successo al confine fra Turchia e Siria. Una zona sicura è stata creata. Il cessate il fuoco ha retto e le missioni di combattimento sono finite. I curdi sono al sicuro e hanno lavorato molto bene con noi. I prigionieri dell’Isis catturati sono al sicuro”) e ha annunciato la revoca delle sanzioni ad Ankara, sul versante atlantico non tutti sembrano pensarla allo stesso modo. Così ad esempio il rappresentante permanente degli USA alla NATO, Bailey Hutchinson, che ha spiegato come, relativamente all’operato delle truppe turche, “ci sono state accuse di crimini di guerra che devono essere investigate sotto gli auspici dell’organo adeguato”. La risposta di Erdogan? Per il presidente turco, che considera formalmente i curdi dell’YPG come terroristi, “i Paesi della Nato e i Paesi dell’Unione Europea” sono colpevoli di sostenerli. E, a proposito di UE, è da appuntare il vuoto pneumatico per quanto attiene al contesto siriano, dove, in una fase interessante e critica come quella degli ultimi giorni, le istituzioni comunitarie sembrano scomparse.

PER GLI USA SEMBRA UNA DISFATTA. MA SI CONSOLANO CON LE PROTESTE IN LIBANO E IRAQ…

Comunque, traendo le somme, alle elite atlantiche che dal 2011 tanto si erano spese per una rapida liquidazione della Siria la situazione deve apparire sempre di più come una disfatta. Soprattutto dopo che l’ultimo potenziale fattore di destabilizzazione, quello dell’intervento turco che poteva spezzare l’asse Erdogan-Putin, sembra essere scemato nel giro di neppure venti giorni.

Per quanto attiene al Medio Oriente, dalle parti di Washington diversi sono quelli che possono comunque rallegrarsi per le violente proteste che, curiosamente all’unisono, stanno destabilizzando due Paesi che come la Siria sono caratterizzati da una forte influenza politica dell’odiato Iran: Iraq e Libano. Coincidenza singolare.

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