Copertina-3-2020-Prima-500x706Il Covid-19 è stato il tema più dibattuto di questi ultimi mesi. Se molto si è detto circa l’aspetto sanitario e, successivamente, economico-sociale della crisi pandemica, poco però ci si è soffermati sull’aspetto geopolitico. Che, in realtà, è tutt’altro che ininfluente. Ci pensa, però, l’ultimo numero della rivista di studi geopolitici “Eurasia“, il terzo uscito in questo 2020. La copertina presenta un titolo intrigante, “Il virus acceleratore”. A spiegarne il senso è il direttore di Eurasia, il professor Claudio Mutti.

“Secondo l’interpretazione data da alcuni – spiega – l’emergenza Covid-19 sarebbe un evento acceleratore di diversi fenomeni di deglobalizzazione, in quanto essa avrebbe incrinato i ‘pilastri’ dell’ideologia globalista, inducendo a riflettere criticamente sul presupposto liberoscambista della libertà di movimento di merci e persone e a riprendere in considerazione l’utilità delle frontiere. Insomma, la prima vittima del Coronavirus sarebbe proprio il mito della mondializzazione. Occupandosi degli effetti prodotti dall’evento epidemico sulle relazioni internazionali, “Eurasia” ha messo in particolare rilievo il fatto che la già esistente tensione fra Stati Uniti e Cina ha subito un’accelerazione notevole, la quale ha indotto molti osservatori a parlare dell’inizio di una nuova ‘guerra fredda’, analoga a quella che contrappose gli USA all’URSS. Insomma, è stato accelerato quel processo che, facendo della Cina un avversario geopolitico degli USA in Africa, in Asia ed in Europa, verosimilmente porterà al definitivo passaggio dall’unipolarismo statunitense ad un ordinamento mondiale multipolare”.

Su questo blog più volte si è parlato delle bizzarre coincidenze e delle più strane teorie che hanno fatto da sfondo all’esplosione della pandemia. E, tra le altre cose, anche alla possibile origine non naturale del Covid-19.  Ma il virus è nato davvero in laboratorio? “Credo – commenta al riguardo Claudio Mutti – che pochi siano in grado di dare una risposta sicura a questa domanda, anche se un ex funzionario della US Central Intelligence Agency, Philip Giraldi, ha ipotizzato che il Coronavirus sia stato creato in laboratorio per essere usato come agente di guerra biologica contro la Cina e l’Iran, i due paesi che in effetti sono stati aggrediti per primi dall’epidemia. D’altronde gli Stati Uniti non si sono astenuti, in passato, dal fare uso di armi biologiche: non solo agli esordi della loro breve storia, quando i coloni puritani distribuivano agli autoctoni coperte infette di vaiolo, ma anche all’epoca della guerra di Corea, quando un comitato scientifico internazionale accertò che Coreani e Cinesi erano stati oggetto dell’impiego di armi biologiche usate da unità delle forze armate statunitensi, o nel 1981, quando venne diffusa a Cuba l’epidemia di dengue. Venendo a tempi più recenti, da un’inchiesta della giornalista bulgara Dilyana Gaytandzhieva pubblicata nel settembre 2018 risulta che armi biologiche vengono prodotte nei laboratori dell’esercito statunitense finanziati dall’Agenzia per la Riduzione delle Minacce alla Difesa (Defense Threat Reduction Agency). In relazione ad una di tali installazioni (quella situata in Georgia nei pressi di Tbilisi) la portavoce del Ministero degli Esteri della Federazione Russa, Maria Zakharova, ha testualmente dichiarato: ‘Non si può escludere che in questo tipo di laboratorio ed in quelli ubicati nei paesi terzi gli americani svolgano il lavoro di ricerca per creare e modificare vari agenti patogeni di malattie pericolose, anche a fini militari'”.mao-zedong-15983_960_720

L’ipotesi di un’origine cinese del virus ha risvegliato anche sentimenti e manifestazioni sinofobe. Possono essere strumentalizzate?

“La campagna sinofobica – prosegue Mutti – è stata ufficialmente inaugurata dal presidente Donald Trump, il quale ha definito il coronavirus-19 come ‘the Chinese virus’ ed ha collocato la crisi sanitaria nel contesto del braccio di ferro di Washington con Pechino. In questa campagna sinofobica si sono mobilitati, con argomenti affini e convergenti, gli esponenti più rappresentativi delle due fazioni rivali del sistema statunitense, quella globalista e liberal e quella nazionalista e populista. ‘È ovvio che la Cina costituisce una minaccia’, ha dichiarato in un’intervista a ‘La Repubblica’ il superspeculatore George Soros, che ha attaccato il ‘dittatore’ (sic) Xi Jinping per il modo in cui ha affrontato l’epidemia di coronavirus. Simultaneamente Steve Bannon, ideologo di Trump e patrono dei sovranisti europei, in un’intervista al Corriere della Sera ha accusato Di Maio e i Cinque Stelle di avere ‘ceduto al Partito comunista cinese, a una dittatura totalitaria’. Quindi è arrivato a dire testualmente: ‘All’orizzonte si addensano nubi di guerra. L’Europa deve capire che siamo di nuovo nel 1938’. È evidente che l’obiettivo politico della campagna anticinese consiste nel fare appello alla ricostituzione del ‘blocco occidentale’. in vista della nuova guerra fredda. ‘Dobbiamo avere un’azione condivisa e resistere’, ha detto infatti Mike Pompeo, secondo il quale l’Europa deve fronteggiare la minaccia della Cina insieme con gli Stati Uniti”.

Durante le fasi calde dell’epidemia l’approccio della politica sembra essere stato, quasi universalmente e senza dubbio in Europa, di stampo eccessivamente allarmistico, confrontando anche il numero dei morti dichiarati con quello di precedenti eventi pandemici…

“Un’epidemia – conclude il direttore di Eurasianon è soltanto la diffusione di una malattia contagiosa, ma è anche un evento diffusore di paura. Ora, siccome la maggior parte degli individui ha più a cuore la sicurezza che non la libertà, pur di non correre il rischio di ammalarsi e magari di morire è disposta ad accettare che le libertà individuali vengano controllate e ridotte. Essendo realistico pensare che il potere ceda alla tentazione di utilizzare la paura al fine di rafforzare il proprio controllo sui governati o comunque per verificare il loro grado di docilità, mi sembra non solo possibile, ma probabile e verosimile che la recente pandemia sia stata strumentalizzata, in diversa misura, da diversi governi, compreso quello italiano. Tanto più se si considera che sono in gioco profitti economici enormi legati all’industria farmaceutica”.

 

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