Soli, abbandonati, isolati. I cristianelli non vanno più di moda, le loro comunità paragonate, nel mormorio di massa, a quelle dei figli dei fiori degli anni ’70. Si fotografa Plutone, mentre le fragilità umane rimangono le stesse, ed improvvisamente Cristo non esiste più. Ma ancora si crede nel dogma? Amen. Ad un certo punto, prima di impazzire nella decadenza e nell’indifferenza generale, ci si attrezza per reagire, anche a costo di esagerare, di vedere sfocato l’orizzonte, per qualche attimo, con veemenza. Suvvia, diciamocelo. Quel sapore tradizionale, che attornia l’italica spiritualità, anche il Natale, e ammanta la società, connaturato ad essa, è fortemente diminuito da quando le fondamenta e le modalità della cristianità, a cui si rischia di perdere lentamente l’abitudine, che si mischiano con l’essenza stessa dell’italianità, sono state relativizzate, reinterpretate alla luce dei modi e dei costrutti mentali di questo tempo. Il Natale è spompato, riadattato, ammodernato (e quasi snaturato, vedansi l’albero di Natale di Urbino, gran figata dal moderno design, o la Roma senza “Natale”, come denuncia l’onorevole fratello d’Italia Fabio Rampelli), il Presepe è stato dimezzato (tra figuranti e figure, ebrei ed arabi, giusto o sbagliato, fuori tempo o futuro), le palle di Natale si sono ammosciate, il rispetto è da garantire (come se la celebrazione della Santa Natività provocasse la febbre gialla a qualcuno, così, improvvisamente), i crocifissi da togliere, le preghiere da non dire (forse neanche da pensare); ci manca solo che, per ragioni di tolleranza ed estremo marketing, si sposti la data dal Natale, che so, in estate. Ad un certo punto di questo lungo cammino, frega poco di divenire impopolari, conta molto di più essere coerenti ed onesti. Il famoso cartello di Pontoglio, tutti i torti non ce l’ha. Ora, che un segnale stradale abbia torto o ragione è questione decisamente curiosa: l’Amministrazione Comunale di Pontoglio, nell’epoca delle rivendicazioni facili, tutti i torti non ce l’ha. Affatto!

La polemica – ovviamente – s’innesca solo nei meandri della spiritualità; col ciufolo che la troverai in quelli della laicità. “Città per la pace”, “città per la non violenza”, ma quante volte abbiamo letto in lungo ed in largo nello Stivale questa dicitura accanto a “città dell’olio bono, delle bruschette e delle lumache”? Certo, è implicito che nessuno, almeno all’esterno, sia per la guerra, il massacro, i bombardamenti atomici; per questo il cartello è in bella vista. Allora in quel caso è tutto a posto, da andarne fieri. Contrariamente, non si può dire che la comunità in cui state infilando la vostra auto sia un “Paese a cultura occidentale e di profonda tradizione cristiana”, per cui, “ Chi non intende rispettare la cultura e le tradizioni locali è invitato ad andarsene”. Dunque, o è un grande gioco alla contraddizione o la legge è uguale per tutti. Anche nelle“città per la Pace”, che ripudiano la violenza e l’intolleranza di ieri e di oggi,  Tizio accoltella Caio per futilissimi motivi, un ex terrorista insegna all’università e, magari, si impedisce la presentazione dell’ultimo libro dell’ex missino, come se c’entrasse qualcosa, in un turbinio di sterile pregiudizio e cocente contraddizione. D’altro canto, a Pontoglio, non scapperà qualche imprecazione rivolta ai cieli proprio a nessuno? Tutti comunicati la domenica, tra i banchi della Chiesa pieni zeppi? Tutti, ma proprio tutti, a porgere l’altra guancia?

Chi è senza peccato, a questo punto, scagli la prima pietra. Nelle “città per la non violenza” ci saranno stronzi e meno stronzi. A Pontoglio, devoti e meno devoti. È il messaggio ideale, reazionario, di base, l’impostazione comune, che deve passare, perché se nel nostro Paese, talvolta, andassimo a constatare il dettaglio…

Gli ex missini non c’entrano un caiser con la “Pace”, quanto i musulmani non c’entrano un altro caiser con il messaggio di Pontoglio. Tutto troppo implicito, tutto poco esplicito. All’italiana.

Ma il problema non è nell’avere torto o ragione, nel tatto o nella brutalità, è un altro. Per comunicare, di questi tempi, l’attaccamento alle radici fondamentali, a tradizioni vitali, spesso ci si riduce al farsesco, al grottesco, all’effetto choc, come per bucare a forza un ghetto inesorabile. Osservati dal grande fratello del politicamente corretto la fobia di parlare, di esprimersi direttamente, in maniera inequivocabile per non essere messi alla gogna e beccarsi i pomodori in faccia, comincia a pesare; così molti vengono colti dall’effetto Pasquino: parla la scritta al posto mio. Paradossale, no?

Allora si approfitta, sul finire, di uno degli strumenti preferiti dal politically correct de noantri, il gossip scialacquone, disordinato e ideologico, per stimolare una riflessione ben più ampia: è mai possibile che non si possa prendere una posizione pubblica (il famigerato segnale stradale in questione è frutto della delibera n°168 del 30/11/2015) nella tutela delle proprie radici primarie – certo non sarà la maniera più elegante di interloquire con il prossimo, lo stesso che proprio Gesù esortava ad amare come se stessi – in piena legittimità, libertà e nei propri confini, nel 2015? Ma non erano i tempi del rispetto universale e della tolleranza mondiale?

Cosa resterà di quegli anni ’80…

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