Non sarebbe la prima volta, in tempi di Sgunz, di squali in formaldeide, di merde d’artista varie, di “Fuck Off” di Cattelan e di orge molto sodo e poco mitiche (come quella dell’artista austriaca, Ines Doujak), che una figuraccia diventa un’opera d’arte. Un po’ come l’inglese di Renzi al Digital Venice. Un’opera d’arte.

Un “ridi-made”, solo a pensarci fa davvero ridere, anche se, stavolta, c’è davvero poco da scherzare. Qualcuno, anzi qualcuna, ha realmente preso sul serio la sfida e si è messa in testa di rompere le scatole al buon senso, anzi, di riciclarle.

Ti pareva che non ci fossero ulteriori italianate dopo la figuraccia stat(u)ale fatta in seguito alla visita di Rohani a Roma? Ricorderete tutti le statue infrattate per volere istituzionale: coprire le nudità per non disturbare lo scambio commerciale. Coprire l’etica per non fracassare l’estetica.  Gran cerimoniale, marmorei seni coperti, rispetto e tolleranza dell’altro- sempre dell’altro – garantiti, gran figuraccia internazionale – dalla BBC a Le Figarò, ancora ci ridono dietro -, e la giostra nazionale prende un altro giro ancora.

Fino a qui, l’ufficio farse del Governo – lo stesso dei calzoni corti, corti di Renzi o delle improvvise perdite di memoria della Madia “enunciatrice di riforme in tv”, special version, quello che ha curato l’affaire Banca Etruria per renderlo ancora più vicino ad un film di Mario Merola – ha lavorato in maniera impeccabile. Ma anche dal mondo “privato” arrivano degli spunti davvero niente male. Perché non riutilizzare i pannelli che coprirono le marmoree patatine al Campidoglio per farne espressione d’arte contemporanea, organizzare una mostra dal titolo “Farsi”, (probabilmente) a marzo, e renderle protagoniste (una volta ancora)? Chiedetelo ad Alda Fendi; cognome importante, figlia dell’alta moda, una Fondazione che porta il suo nome e che “nasce nel 2001 per produrre esperimenti artistici in assoluta libertà creativa e molteplicità di linguaggi”. Vero, verissimo, talmente in assoluta libertà creativa che non poteva mancare l’assurdo “alza-gradimento”, così spesso sfiorato dall’arte contemporanea, ormai, quasi sempre, mero affare di mercato: riciclare i pannelli ed instillare una riflessione in tutti noi. Col solito candore dell’essere superiori. Un lucido omaggio alla cultura Persiana, come si evince già dal titolo dell’evento, che sarà accompagnato dai versi del poeta Persiano Omar Khayyam.

La tristissima vicenda dei pannelli della discordia non finisce più, purtroppo. “Si tratta di una scelta artistica che mostra la vivacità e l’imprevedibilità degli italiani” – ci fa sapere la Fendi – “quelle scatole sono meravigliose, l’Italia si può permettere di coprire anche le statue, ed è l’unico Paese a poterlo fare. E ogni volta è un parto d’arte: le scatole sono una vera installazione”. Maraviglia e obbrobrio. Quando pensavamo che fosse ora di finirla di avere piene le scatole, ecco che tornano a svuotarsi e ricompaiono in scena, stavolta però, dotate di una propria autocoscienza, di una propria emancipazione, di una propria indipendenza visiva.  

Esiste, in questo Paese, una fine al peggio?

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