Cosa succede se, costretto a scegliere, qualcuno rifiutasse l’egemonia culturale imperante per rifugiarsi in un cantuccio di privata e legittima libertà? Il cantuccio, l’angulus oraziano, da cui cogliere il paesaggio, il fronte, la visuale senza essere ancora corrotti e travolti dal mainstream. Luogo privilegiato, noto e sicuro, per coltivare se stessi nell’epoca della grande siccità dello Spirito.

Libri. Per arredare e per fare spessore quando, tornati da Ikea, ci si rende conto che quel mobiletto tanto bello in realtà, in casa, ci stava per un pelo. Per coprire il buco della stuccatura. Libri per fare selfie e selfie per fare libri. Ancora libri. Ebook, nella plastica. Dal cellulare, nella tasca. Libri, che sono estetica, tattile, intima. Profumata. Ma sono anche “etica”, racconto del tempo, e di chi lo ha navigato, percorso, vissuto in cella o in una casucola, da solo. Racconti di anni ruggenti, arrapanti, disperati. E nell’era della tangibilità, i libri sfumano. Paradosso. Balle di fieno che rotolano solitarie nell’inutilità, come nei vecchi spaghetti western. Piume al vento che volteggiano verso un infinito di sola forma, in un orribile strapiombo di sostanza. Infinito anch’esso. E si sciolgono i contorni. Tutto tende all’infinito, in pratica, meno che un libro. Se scritto per specularne. Se scritto per arredare, per coprire il buco di una stuccatura o per stupire gli amici. Se scritto per camparci. Gratificarsi sì, ma scrivere libri per campare non è letteratura, è marketing, è speculazione. È commercio.

E si può comunque essere bravi. Bravi imprenditori.

E quindi, se si vuole intraprendere questa strada, bisogna creare un prodotto che si venda, che sia subito trend, che colpisca le corde psicologiche e sentimentali, che dia pappa e nutra. Bisogna costruire. Ma un libro non si costruisce, si pensa. Bisogna costruire libro e personaggio. Personaggio e libro. È un’operazione di marketing, non più nostalgia del presente, chiusa nelle tribolazioni notturne, discontinue, ansiogene, mentre fuori è estate ma per te è un irrimediabile inverno. Una sofferenza calviniana.

È diritto, nell’era dell’immenso Capitale, fare anche questo. È diritto, al contempo, scegliere di non comprare, né sponsorizzare un’opera che non incarni la propria essenza individuale e di gruppo. Rappresenta quel piccolo, e ancora difficilmente arrivabile, spazio di intima capacità di giudizio. Angulus. Di libertà privata. Quel tuo gesto di sfida al preconfezionato, esercizio minimo e maiuscolo di libero arbitrio.

Perché per quei pochi lucidi affezionati al mondo antico, un libro è un libro, non un’operazione di successo progettata intorno a un tavolo, né un qualcosa per arredare, per fare spessore, per stupire gli amici. Non è plastica, né caricabatterie. È un libro e basta, ed ha un’anima, una funzione,: raccontare, interpretare, offrire, ciò che quindi è alla base dell’arte tutta.

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Allora nell’epoca del libero scapicollo dalla rupe della nostra presunzione, è diritto di Luca Nannipieri decidere che nella biblioteca della sua cittadina non ci devono essere i libri di Fabio Volo? Certo, in una biblioteca dovrebbero esserci libri d’ogni sorta e natura. Per essere davvero liberi, almeno lì. Ma se Nannipieri volesse affrontare l’inaffrontabile? Essere polemicamente scorretto, come a dire: farete i soldi ovunque, con un libro che ha solo la forma di un libro, che è un gadget, ma non qui, non qui nella biblioteca di Cascina.

E a giudicare da a “A cosa servono i desideri”, di Fabio Volo, edito da Mondadori, siamo ben oltre il gadget. Un libro che di libro ha solo la forma, che non è scritto. Tra le pagine, solo delle frasi, dei pensieri lanciati e tanti puntini sotto: sarete voi che dovrete completare la frase e il pensiero, a metà tra le masturbazioni meta-erotiche sul canale di notte di Marzullo e un libretto interattivo per bambini. “Uno spreco di cellulosa per cui Volo non potrà sapere come reagirà la natura. Che non passi nei boschi”, secondo la liberatoria stroncatura di Michela Murgia, a questa incompiuta, nel salotto di Augias. Mentre nell’altro, quello di Fazio, Volo si paragonava addirittura a Calvino. Calvino per cui la letteratura era un parto, quando diceva che essa “nasce dalla difficoltà di scrivere non dalla facilità, dove la penna scorre facile non nasce niente di buono”. Figuriamoci a mettere una frasetta in ogni pagina e farsi pubblicare da Mondadori. Frasette tipo: “quando, da adolescente, sono stato un mito per i miei amici”?

Luca Nannipieri, critico d’arte militante tra i più giovani e agguerriti, una vita spesa a soccorrere i Beni Culturali di questo bar di provincia che l’Italia appare. Di recente un programma in Rai – Sos Patrimonio Artistico  -, numerosi libri all’attivo. Saggista, firma del Giornale. Assessore a Cascina, in provincia di Pisa. Qui dove atterrò il Volo. E la polemica.

Nannipieri rilancia la biblioteca della sua città e dice, pubblicamente: “Prima di spendere soldi per comprare i best seller in classifica, che spesso sono libri letterariamente e culturalmente deboli come quelli di Luciana Littizzetto, Fabio Volo o dei cantanti, occorre riempire gli scaffali con i libri importanti, non con i semplici desiderata del pubblico”. Libertà è capacità di scelta, ponderata, non accettazione aprioristica. E quindi tra gli scaffali, secondo Nannipieri, è meglio trovare “Premi Nobel per la letteratura, i manifesti degli artisti che hanno fatto la storia, le ricerche e le divulgazioni di scienziati, viaggiatori, sperimentatori, che hanno viaggiato nel mondo, i documenti e le bibliografie di storia del territorio”. “In concreto, se vuoi leggere Fabio Volo, te lo compri in libreria o su Amazon” perché “il senso profondo della biblioteca, che è quello di archiviare, testimoniare e rendere presente l’importanza del libro e della lettura, nel suo essere esperienza di conoscenza dell’umano”. E last but not the least: “se in tv trovi Fabio Volo, in edicola trovi Fabio Volo, in libreria e al supermercato trovi scaffali pieni di Fabio Volo non vuol dire che la biblioteca debba incentivare questa tendenza, caso mai contestarla, incentivando la lettura e la conoscenza dei libri che contano. Le donazioni che stiamo ricevendo sono improntate a scegliere e far catalogare libri, dizionari o enciclopedie importanti come la Treccani o i classici del pensiero”.

Contrastare una tendenza. La sfida del tempo, quella che vale tir pieni di libri di Fabio Volo di insulti. Contrastare una tendenza, e più insulti si ricevono, più si ha la certezza della bontà di una scelta. Scelta, contrasto: la strada che da sempre ha portato ad una consapevole uso di se stessi. Politicamente scorretta la scelta di contrastare una tendenza che vede corrispondere i neo-francescani col Patek Philippe, sacerdoti laici delle libertà, del progresso e della tolleranza, fautori del miglior mondo possibile, esempi d’uomo da replicare come layout di una Civiltà adeguata al futuro, con l’egemonia culturale imperante. I salotti Rai? I loro. Le vendite, l’editoria, la possibilità di incidere nelle generazioni, le opinioni, le visioni? Tutto l’oro. Tutto l’oro, minuto per minuto.

Alla Gauche Caviar, tutto questo, non piacerà. Scambiare furbi per saggi, solitamente è un’operazione che gli riesce benissimo.

Un paio di giorni orsono, Fabio si rialza in Volo e trova il tempo e il modo di rispondere al piccolo Nannipieri da Cascina, operaietto del buonsenso: “Immaginate di essere intelligenti, dotati e di grande cultura quanto lo è il nostro Nannipieri, la cui presenza in noti programmi televisivi, non è sufficiente a garantire un successo letterario che sia paragonabile a quello che invece ricevono dei poveri stolti ignoranti quali il sottoscritto, che ottengono la propria fama esclusivamente dalla partecipazione televisiva. Che vendono un’infinità di copie in più rispetto ad uno che ha passato la vita sui libri. Ecco, forse anche io sarei un po’ geloso, ma questo non significa che mi sentirei autorizzato a bandire alcun libro da un biblioteca”. In sostanza, per Volo, quella di Nannipieri è tutta invidia. Luca starebbe a rosicà…

Termina elegantemente la bagarre proprio Nannipieri: “caro Fabio Volo, si chiama battaglia culturale. Tu pensi che la biblioteca sia come un supermercato (se un libro vende molto, si trova al supermercato e in biblioteca). Per me invece la biblioteca, se ha 10 euro da spendere, deve anzitutto mettere a disposizione i libri che contano, che non si trovano nei supermercati, autogrill, edicole, su Novella2000 o TV Sorrisi e Canzoni. Nessun libro è bandito. Se vuoi regalarci i tuoi libri, siamo i primi a prenderli. Ma se la biblioteca ha 10 euro da spendere, tra acquistare il tuo libro o il libro di un classico o di un Premio Nobel, noi scegliamo sempre quest’ultimo. Si chiama educazione culturale, vecchio mio

A noi piace da impazzire questa immagine: la biblioteca, torre bianca, asserragliamento, ultimo bastione in armi contro l’egemonia del pensiero e del modo. Fuori a vedere il nemico arrivare a respirare il fresco della tramontana; dentro, per rinvigorire le anime e prepararle alla battaglia contro l’estremo bavaglio, contro il politicamente corretto. La biblioteca, casa delle coscienze, da dove riparte la scelta e il contrasto, da dove riparte il coraggio. Non dalla boria, non da uno sciatto programma in tv, non da un giornale, non da una sezione di partito, ma dal luogo che conserva e riscopre la qualità, la virtù degli uomini, sopra le cose e senza tempo. La biblioteca, luogo da cui riavviare la cultura più prossima – come propose l’amico Paolo Pelliccia, illuminazione di buon senso, ultimo assistente di Carmelo Bene e responsabile della Biblioteca Consorziale di Viterbo – come narrazione ed interpretazione del tempo, degli uomini e del loro territorio. Nuclei combattenti del pensiero da cui ripartire, cellule territoriali.

Il coraggio di essere off. E quello di ripartire dal nucleo. Il resto è storia moderna che nel futuro lascerà davvero poco.

Se vi piace sarà così, altrimenti spicchiate il Volo.

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