Dalla untitledFrancia all’Italia. In tutto questo trambusto di destre, alla riscossa o dentro la fossa, in questa mattitudine di sfumature, onde e cavalloni, in questa bolgia di entusiasmi e illusioni, mi è venuta in mente quella volta che con lei ho avuto un amore. Tra il serissimo e il faceto.

Come Fantaghirò, o le favole del Basile.

Ti incantava, ti portava a letto. Ma poi quell’amore furioso e denso, finiva in malora. Scapicollato in qualche ricordaccio, scomodissimo e spinoso.
Sul più bello.
“Sono distratta”, dice. “Penso alla casa di Montecarlo. È tanto che non l’apriamo, deve prendere aria. Dai fammi rivestire di sogni. Questa sera non ce la faccio. Penso a tutte le scissioni, a tutti i rinnegati, i traditi, i carcerati”, dice.
E ogni volta, ogni singola volta, provavi a convincerla: “Dai, rifacciamo l’Italia domani”.
Lei, con i seni dolci della guerriera, mentre si allaccia il reggipetto, t’incanta un’ultima volta ancora prima di uscire dalla tua vita: “Domani non posso. Ho la mostra dei 70 anni del Movimento Sociale Italiano”.

La pornografia emozionale.

Ogni volta pensavi che da tutto questo destreggiarsi tra i mali del nostro tempo, quelli che rendono gli uomini bestie senza natura, da tutto questo pontificare, rinascesse qualcosa, arrivasse una formula, una ricetta. E invece, rimanevi fregato. Come quella volta a letto.
Pensavi che un leader, questa grande cultura, lo avesse generato. Una continuità, delle fondamenta da non vendere su Amazon alla prima occasione di superare lo sbarramento elettorale. Pensavi che, a forza di glorificare il passato, qualcuno avesse pensato anche al presente, tanto per iniziare ad asfaltare la strade del futuro.
E li ti sbagliavi di nuovo.
E ti dicevi: “basta! Questa volta è l’ultima. Devo trovare il coraggio di lasciare questa adescatrice, infame. Ma quanto è bella, quando bacia la morte in faccia”.

E alla fine, non ci riuscivi mai, sembrando un immaturo zuccone, ai tuoi occhi.
Ogni tanto credevi che da tutto quello slancio vitale arrivasse la salvezza per la tua idea di nazione, che arrivasse un messia, alla punta più dolorosa del tuo impazzimento. Almeno un Dio verrà a salvarci. Ma l’unico che si palesò, ancora una volta, fu un uomo che accarezzava sorridente, con la pace in volto, un piccolo agnello per riunire il gregge.

Il Signore, sì, ma degli Agnelli.

Allora capivi subito a che gioco si stava giocando.

E mentre facevi l’amore con la destra, l’altra notte, avevi lasciato la tv accesa su un porno di bassa lega. Una robetta da poco, per tristi uomini soli; la storia di un popolo martoriato dal terrorismo islamico che fa sbarramento contro l’unico movimento di uomini e idee che vuole provare a offrirgli un’ultima chance di dignità. Un popolo che nella sua capitale, in cui ancora non vuole andare via il sangue sulla strada, ha schifato, ha voltato le spalle a quel movimento di uomini e di idee.
Quando era andata via, riflettendo tra te e te, infilavi un braccio dopo l’altro nel Trench, e sotto niente. Nudo. Dovevi scappare. Ti allacciavi le scarpe mentre sputavi fuori una densa nuvola di Toscano ammezzato e ti dicevi: “vado a vedere cosa succede, se la trovo da qualche parte. Mi aveva detto che sarebbe stata impegnata a pensare a Donald, agli sbagli fatti, alla lotta col proprio orgoglio. Mi aveva detto che sarebbe stata chiusa in casa, struccata, a mordersi le labbra mentre scriveva di Marine”.
Cominciavi a vagare, nottetempo, nelle parole dei saggi, nella rabbia dei matti, tra le piazze virtuali, per le strade di Roma, vicino alla Colonna di Marco Aurelio. C’erano tutte le puttane, tranne lei. C’era un baccanale, e poca luce. Surreale. Chi si credeva minacciato da complotti orditi contro di loro, chi s’accoppiava con i propri figli. Chi si dava la mano. Bestie con altre bestie.
La vista ti fu favorevole, perchè da sola ti fece diagonale nella calca di quel bordello; la scorgesti poco lontano, in un gruppo d’altre persone, che ballava un’antica danza su cui ogni popolo salta a ritmo da tanti anni. La decadance. Cadenza di tamburi come nella notte del medioevo di Narni. Un battito, un passo marziale. Poi un’altra botta e un passo di marcia. La ghironda in sottofondo dava linearità ad un canto brutale. Il canto della gente schiava del suo tempo.

Casca la terra, tutti giù per terra. Lei ballava, scalza. Rideva; si vedeva che ti aveva dimenticato in fretta. Girando, la sua gonna si alzava, fluttuava. Girava e parlava, mentre ballava, e girava, girava ancora, quasi a perdere la testa. Era abbracciata ad un altro. Lui le toccava il sedere, con la mano aperta, lo accarezzava, su e giù. La stringeva. E lei ne era felice. Lo conosci, lui. È un figlio di puttana. Un omuncolo, piccolo così. Lo chiamavano Affare.

Così decidesti di buttarti in mezzo. Partisti deciso, afferrato da tutte quelle mignotte che volevano fermarti la corsa. Miserabili, che con le loro avances provavano ad incantarti. Le sbattevi lontano da te. Volevi solo lei. La inseguivi da una vita, non volevi più sentirti tradito. Volevi avere giustizia, la verità. Ma lei fuggiva sempre. Non faceva altro che parlarti di quant’era bella da giovane, il cruccio della sua esistenza. Ma tu sapevi che avresti potuto starle vicino, aiutandola ripartire, ad amarsi anche oggi.

Finalmente la raggiungesti. La fermasti per un braccio. La portasti fuori dal grande ballo.
Lei era sorpresa: “pensavo mi avresti mollata, stavolta”
“No”, fai tu. “Non mi basta! Ho voglia di avventura. Andiamo a cacciare il drago, a sfiorare le guglie delle cattedrali antiche, a rovesciare ‘sto mondo. Posso farlo solo con te, che mi hai accompagnato per tutti questi anni. Andiamo a combattere nell’ennesima giostra, andiamo a pulirci il sangue. Andiamo a squagliarli l’oro e facciamone corona per il nuovo Re degli uomini. Come quella volta…”.

Ma lei ti interruppe, ti guardò fisso, sedendosi su un muretto, mentre raccoglieva la vesta svolazzante tra le gambe e ti disse: “forse non ti ho detto tutto di me. Forse non sono stata sincera fino in fondo. Sono dovuta cambiare. Per forza. Mi sono dovuta moderare. Calmarmi. Cambiare vita.
E amo Affare. Da molto tempo ormai. Credevo lo avessi intuito”.
Guardavi in basso. E ti parlavi dentro. Forse lo avevi capito da molti anni. Del resto, non eri così stupido come Saviano voleva farti sentire.
“E poi, io non sono fatta per te. Tu sei un uomo gentile, buono. Non sei un pupazzo. Tu la pellaccia non la venderai mai, a costo di morire dentro. Un tempo mi completavi. E io invece, cosa sono? Sono schiava del tempo. E dell’occasione. Pensa, ormai mi eccito solo guardando gli altri essere quel che sarei dovuta essere io. Io che fui esempio per la mia gente, ed anche per quella di Francia. Ormai sono solo una squallida guardona. Una voyeur. Spio gli altri dal buco di una serratura, li vedo vincere, li vedo essere e mi eccito. Come ho fatto con Marine e Donald. Sogno di vincere, credo di farcela. Poi dopo ti chiamo per averti mio, per fare l’amore. Con te, ancora una volta”.

Tu non parlavi, non dicevi nulla.
“Ti ho usato ancora una volta; ma a fin di bene, credimi. Non ti tradirei mai. Ho bisogno di te per essere”.

“Moderare? Ma cosa significa”, dicesti tu, disperato.

“Mi accuccio nel cantuccio e guardo il mondo fuori. Ne ho paura. Eppure io dovrei essere là a menare fendenti che non si perdano in clamorosi lisci. Dovrei tagliare teste, teste vere! Sentirle rotolare al suolo. M’insultano, mi sputano, tra le fila degli eserciti. Mi chiudono da una parte. Pensano sia una matta che non sa brandire una spada per difendere la sua gente. Pensano sia schizzata, sclerata, eccessiva. E mi hanno tagliato fuori, da tutto. Così, per mesi, piangevo da sola. In preda ad una trauma. Avevo bisogno di essere nella calca, a combattere per la mia posizione. Da sola, a versare lacrime, mi sarei isolata, incapace di ripensarmi, di rivalutarmi per quel che veramente sono. Allora ho ceduto. Ho conosciuto Affare. Lui mi ha tranquillizzata, mi abbracciata forte, mi ha rassicurata. Mi ha detto di andare con lui, tra gli eserciti, a ricominciare la battaglia, ma in nome di qualcos’altro. Mi ha donato una spada d’oro, mi ha promesso ricchezze mai viste e mi ha detto di seguirlo, che avrei fatto parte delle retrovie. O così, o sola, distrutta, a pezzi, a piangere ricordando il passato. Accettai”.

“Ma perché?…”

“Mi sono fatta incantare. Mi ha completamente cancellato il senso di autocritica e giudizio. Mi ha rincoglionita, capisci cosa intendo? Pensa che dopo aver fatto l’amore ieri sera, mentre Marine provava a farcela, ero convinta che io, capisci, io, sarei andata al ballottaggio. Ma poi mi sono ricordata di non avere niente, di essere nella miseria. Mi sono ricordata di colpo che io, qui, valgo poco in percentuale, troppo poco; che non ho costruito niente, che ho distrutto quasi tutto, e quasi sempre per mire personali. E che, cascassero i ponti, è la mia sorellastra ad avere avuto la meglio, quella sinistra così snob, con cui ormai non mi rispetto più da tempo.
Ho creduto di essere io. Ho creduto di essere io, ieri sera…”

“Perché non me ne hai parlato?”.

“Perché saresti scappato tra le braccia di qualcun’altra. Magari, per non pensare al dolore, tra quelle lisce e marmoree di qualche provocante figlia la fuori. E ti avrei perso per sempre. Vieni con me in battaglia, ancora una volta. Chiama a raccolta i tuoi. Questa volta vedrai che…”

Ma tu la interrompesti. “Preferisco ricordarti com’eri. Portare con me il senso del mondo e dello stare al mondo che mi hai trasmesso. Questa volta, quando guarderai al tuo fianco, non ci sarò. Scelgo di ricordare l’assalto, per compierlo da solo”

“Non puoi lasciarmi”.

“Ci penserò. Non ti ho lasciata mai, neanche quando si spense la Fiamma.
Ma amare la destra è ormai una perversione per pochi”

Buio.

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