“E poi se ne vanno tutti!  Da qua se ne vanno tutti! Non te ne accorgi ma da qua, se ne vanno tutti!”, cantava Caparezza. Da qua se ne vanno tutti. Fuggono i cervelli per lavare piatti o per scoprire, guarda un po’, quella cellula misteriosa, ignota fin dai tempi delle iscrizioni nelle caverne, che permetterà di rianimare un cervello dopo un discorso di Gentiloni. Fuggono gli imprenditori per pagare meno tasse in Uk e spostare la sede fiscale dove la burocrazia è lieve, come in Olanda. Italiani, scattisti, ottosettembristi, maratoneti occasionali. Spaghetti, pizza e scarpe da running. Fuggono i migranti; non a caso, stiamo combattendo la battaglia semantica, quella per rimanere attaccati con la maglietta incagliata, fortunatamente, nella caduta rovinosa nel burrone, all’ultimo ramo del reale: le parole. Migranti, che continuano a migrare, non immigrati, cioè partiti, giunti e chi s’è visto, s’è visto. Così non si possono chiamare, è peccato, l’italiano. E infatti continuano a migrare i migranti, che arrivano in Italia, mangiano la pasta che non gli piace, dicono di stare male, ogni tanto si spogliano in mezzo a Parco della Vittoria, e poi vanno altrove, sempre che l’Austria glielo conceda.
Del resto, il nomadismo è la conquista della civiltà, dicono “tutti”. Fuggono le aziende tra le braccia di ricchi sceicchi o di nuovi sciocchi ricchi, e viene subito in mente che Gianluca Vacchi ha 49 anni, non è più un bambino. O che Lapo Elkann, in realtà, è presidente, fondatore e maggior azionista di Italia Independent Group, è amministratore non esecutivo di Ferrari ed è stato responsabile Brand promotion di Fiat Group. Fuggono le idee, i talenti, gli svegli e i dormienti, i soldi e gli esperimenti, il buon senso e i sentimenti. Fuggono i figli dai patri fendenti, fuggono i padri dai figli deficienti. Fuggono i premier come i monarchi, rientrano dalle finestre travestiti da patriarchi, e quelli ancora lucidi sono eresiarchi.

Da qua fugge tutto. Solo le stronzate non migrano mai dall’Italia. Solo quel non richiesto senso di ebbra sciocchezza. Non richiesta leggerezza sorridente e accogliente. Non attesa da nessuno. Iniziative che non lasciano il segno, ma che lasciano sgomenti. Quel sapore lieve di inutilità, di plastica, di bontà finta, che non risolve, non affascina, non modifica, né influenza. Si mostra per quel che è, nuda assenza. Privazione d’immaginazione, di fantasia, di sprezzatura, finanche. Di coraggio, lealtà, realtà.

Il buio di una realtà surreale che in realtà non ha più nulla di reale, e da dire.
La Nave della Tolleranza di Capalbio – (The Ship of Tolerance). “Progetto itinerante dal forte valore simbolico e concettuale, The Ship of Tolerance è promosso dalla Fondazione Kabakov, realtà con cui i due grandi artisti ucraini s’impegnano per la diffusione di valori positivi, tra spirito utopico e umanesimo: dialogo tra culture, battaglia per i diritti civili, libertà, uguaglianza, pace tra i popoli“, riporta Artribune.com. La nave attualmente si trova nel giardino di Madonna Jacaranda Caracciolo Falck, erede di Carlo Caracciolo, nono principe di Castagneto, quarto duca di Melito e cognato di Gianni Agnelli; azionista storico del gruppo l’Espresso con ricchezze che vanno dall’11% nel gruppo editoriale alle splendide tenute di Torretta Vecchia (Latina) e Garavicchio in Toscana, per un totale stimato di 250 milioni di euro —. Storie altoborghesi molto simili a quei capalbiesi che i migranti non li volevano per non rovinarsi la vacanza -, il duo Manila Flamini e Giorgio Minisini, a cui sportivamente vanno i complimenti, che vince l’oro di nuoto sincronizzato ai mondiali di Budapest, dedicando la coreografia ai migranti. “A scream from Lampedusa […] che fotografa il dramma, l’amore e la speranza di tante famiglie che ogni giorno fuggono dall’odio della guerra, dalla piaga della fame e dalla persecuzione politica e religiosa”, ci racconta Repubblica.it-, la startup che offre opportunità di lavoro ai rifugiati, StartRefugees, creata da Mauro Orso, fondatore di ISpoon; e Bono Vox che viene in Italia, riempie lo stadio, ci fa la solita morale e ringrazia che siamo così bravi e buoni da togliere le castagne dal fuoco a mezza Europa, tenendoci tutti i migranti. Lo stesso Bono titolare di 8 società offshore, con un patrimonio di un miliardo e mezzo di Euro, con una passione per la turbofinanza e stima per la Merkel, considerata da lui “simbolo morale”, come ci ricorda Mario Giordano; e il Migrant Film Festival, a Potenza, iniziato lo scorso 15 luglio. Un festival dedicato interamente ai migranti, di cui ci dà segnalazione Vulturenews.net che, nell’articolo di presentazione titola (per davvero): “A Palazzo San Gervasio sbarca il “Migrant Film Festival”; lo stesso è accaduto al SalinaDocFest, in Sicilia – dedicato ai migranti. Selezionati 4 film per raccontare ricchezza del ‘capitale umano’. Ansa riporta le parole di Giovanna Taviani. Nelle prime righe, dite se non suona familiare il discorso anche a molti giovanotti italiani…: “Sono film che parlano della scomparsa del padre, di una generazione tradita e costretta a rinunciare alla maternità per l’incapacità di mantenersi, e di minori non accompagnati, orfani di un’Europa che respinge con i muri e tradisce i principi della Costituzione” -; e ancora il sito del Vaticano interamente dedicato ai migranti – “La difesa dei loro diritti inalienabili, la garanzia delle libertà fondamentali e il rispetto della loro dignità sono compiti da cui nessuno si può esimere – ha detto Papa Francesco – Proteggere questi fratelli e sorelle è un imperativo morale da tradurre adottando strumenti giuridici, internazionali e nazionali, chiari e pertinenti”. “La sezione migranti e rifugiati – hanno spiegato in una conferenza stampa padre Baggio e padre Czerny, i due Sottosegretari del dicastero – fornisce alla Chiesa un importante strumento pratico per stare accanto alle persone che Gesù aveva più a cuore”. Che Gesù aveva più a cuore… -, o il contest per le vignette dedicate ai migranti, nel contesto dell’Internet Festival di Pisa dello scorso anno, intitolato “La satira naviga… con la marea nel Mediterraneo”. E poi un’infinita serie di mostre, opere d’arte, giornate mondiali, fotografie, piazze, monumenti, tipi di pizza, serate di festa e riflessione, giochi popolari, squadre di calcio, pianeti, zolle di terra, slarghi, curve, sagre, leggi, iniziative, nuove specie di pesci, elementi della tavola periodica, linee di abbigliamento, concerti, poesie, dedicate ai migranti in tutta Italia. Tutto dedicato a chi scappa soffrendo.

L’empatia è tutta concentrata lì. Nessuno si può permettere di far sentire coccolati, circondati di solidarietà, a proprio agio, quelle migliaia di italiani che stanno vivendo come cani questa porzione di storia.

La strada dell’integrazione, verso la maturità sociale, o la via per la speculazione mascherata da emozione? Come spesso Il Giornale ha dimostrato (leggere per credere lo speciale “Il business dell’immigrazione”).

Perché tutto questo impegno non c’è per quel padre italiano separato che ha perso il lavoro e deve mantenere comunque la famiglia? E per fermare l’emorragia di connazionali che fuggono per disperazione, che vanno a fare il cervello solo fuori? E per quelle giovani partite Iva che nell’unica vita disponibile dovranno rinunciare ad avere dei figli? E per formare umanamente quei ragazzi lontani da ogni riferimento, che non riescono ad assumersi la responsabilità della propria esistenza, e non studiano, non lavorano e non cercano lavoro? E per quelle giovani mamme rimaste sole? E per le mamme a prescindere da ogni dramma, che se vengono beccate ad allattare al parco, qualcuno chiama la Polizia? E per quella milionata di poveri italiani rovista-cassonetti? E per l’assenza di un confine culturale che disegna l’identità di una terra, di una gente millenaria, che non significa esclusione, ma consapevolezza della forza e della bellezza del proprio volto riflesso nello specchio del Mediterraneo e che, al contempo, ostruisce la strada del pensiero “integrazione=sostituzione”?

Tra metro e telegiornale, si respira tensione. Tensione evolutiva, come la chiama Jovanotti, il Bono Vox italiano. Si respira tensione.

Segui il trend, incanta la massa. Massa che non è più condizione di quantità, ma di singolare qualità. Barcamenarsi. Finito il pranzo, passata la notte, colazione di nozioni. È un indifferenziato che si ripete in un tipo generico, occupa ogni luogo della società, specie i più alti. Non attiva processi culturali, se non casualmente, ma pretende di governare gli altri. Trascinato dalla corrente della moltitudine, della scelta collettiva, egli guadagna quelle posizioni che, da solo, probabilmente non sarebbe riuscito a raggiungere. Assiste allo svolgersi del mondo, ma non ne partecipa. Si dedica il sabato sera, ma non la vita. E alle elezioni promette il voto a tutti.

Ripete dei mantra masticati, mentre la vita lo sfiora, l’ombra lo divora. Eppure percepisce se stesso come l’uomo del domani, perché puro, incorrotto. “Massa è tutto ciò che non valuta se stesso − né in bene né in male − mediante ragioni speciali, ma che si sente “come tutto il mondo”, e tuttavia non se ne angustia, anzi si sente a suo agio nel riconoscersi identico agli altri”, profetizzava il grande esploratore della moltitudine, José Ortega y Gasset.

I promotori di queste iniziative hanno bisogno di visibilità, gli uomini-moltitudine di empatia. Dolce, tenera, empatia. Empatia selettiva, razzista, umanista. Generalizzata come un tondo disegnato su un foglio bagnato. Un’empatia immatura che include i migranti, include chi fa parte del progetto, ed esclude gli altri, gli italiani, che dopo millenni hanno stufato di essere e chiedere, i lucidi, i vivi, gli ardenti, i coraggiosi, chi dice no, a chi non va giù.

E i migranti, diventano l’unica scusa per l’arte, per la protesta, per il sentimento di questo tempo. Per l’impegno concreto, economico, immediato, totale. L’unico tema che unisce un popolo di fratelli sono gli ospiti? L’unico sentimento che unisce una famiglia sono gli ospiti? Come se non ci fosse altro; e l’altro che c’è, rimane nelle parole di un cantautore sognatore che, al massimo arriva a Sanremo Giovani; versi diversi che però nessuna etichetta con le palle caga, nessun giornalista registra, e intanto il mondo migra. Nella mostra sbattuta in provincia, come in gattabuia nella Roma del Papa re, e intanto il mondo migra. Negli articoli vivi che nessuno fa girare, come questo, e tutto il mondo migra. E migra, e migra. E mangia. E guai a negare: mangiate, mangiate, per carità! Diceva quello seduto davanti al ragionier Fantozzi al ristorante Giapponese. Mangiate o il Samurai vi taglia le mani. Mangiate bocconi di umanità, mangiatene. Non dubitate, mai. Non criticate. Non accusate questo tempo di essere sciocchino. Di avere il dubbio che qualcuno possa mettere in atto una grande pantomima empatica tanto per guadagnare un po’ di immagine, per compiacere al tempo e agli uomini che lo popolano, e ingozzarsi di altra empatia, che va in circolo come il veleno anche nelle arterie più spesse e in salute. Mangiate, ingozzatevi, siate buoni solo con chi vi pare e per il resto indignatevi.

Zitti.

Bella la nave della tolleranza, bello il balletto in acqua. Bello tutto. Tutto molto bello. Un modo per pagare acqua, luce, gas, tasse in aumento, iva, inps, Irpef, scuola ai figli, libri ai figli, imu, tari, tasi, fare la spesa all’ultimo discount che mette un kg di pasta a 0,06 centesimi, scordarsi le ferie, staccare dal lavoro, non sentirsi male, non andare in depressione, un modo per cantare l’inno d’Italia, ci sarà, no?

Chi c’ha i soldini lotta per i poveri. Come la sinistra; la stessa che li ama talmente tanto che ogni volta che va al potere, li aumenta di numero, diceva il grande maestro Indro Montanelli. Va dove ti si porta alla massa e arriverai in alto. Intanto Gentiloni chiama Renzi e, parlando dello Ius Soli, dice: “Matteo, nel Paese c’è un brutto clima”. “Ecco – risponde Matteo -, la prossima volta prima di prenotare controllo il tempo”.

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