Evidentemente era finito il caviale. Tanto valeva cominciare uno sciopero della fame. Come quelli di Pannella, ma senza la dignità epica della battaglia, della frizione, dell’abitudine militante. La casualità mi preoccupa. A livello di iniziativa, a livello di gesti. E fare lo sciopero della fame per stimolare l’applicazione dello Ius soli, da parte di insegnanti e parlamentari, è un gesto casuale, occasionale, decisamente stupido e irrispettoso. Nella brutta epoca in cui, di fame, in Italia, si può morire ancora. E per davvero. Tutto questo mi preoccupa.

Mi preoccupa vedere tanti professori di sinistra affamati in un’aula di soli bambini. Di soli bambini.

Cosa avete capito? Affamati di cambiamento, di attualità, smanianti di civiltà.

Desiderosi di formare, senza egoismi, né deviazioni ideologiche (non sia mai…), i loro giovani alunnetti, sbarbatelli sorridenti con il pizzutello nello zaino per merenda, che aspettano di sapere quanto sarà utile e rivoluzionario, per il loro futuro lo Ius Soli, quanto li farà sentire realizzati nella vita di italiani e di cittadini, quanto gli farà realizzare ogni desiderio in una società competente e competitiva, che rassicura, protegge, indirizza, e allevia ogni distinzione, che unisce formazione e lavoro, esalta l’educazione culturale e crea il cittadino perfetto, mai angosciato, sempre pettinato, che ha tanti colori nell’astuccio della vita.

Mi preoccupa assistere allo scollamento dell’istituzione dalla realtà, della politica dalla gente, di chi rappresenta la formazione civile e culturale, dalla pazzia latente degli italiani che gridano fino a farsi sanguinare le corde vocali per avere un po’ di attenzione. Un po’ di attenzione, neanche la priorità. Mi preoccupa pensare che la fame, sia diventata un oggetto di ricatto politico (“L’ipotesi è quella di un digiuno a staffetta a sostegno della richiesta della presentazione in Aula prima possibile del disegno di legge. Dunque, per tenere aperto questo spiraglio e provare a inserirci in esso in maniera attiva ed efficace, coinvolgendo il maggior numero di persone affinché il governo decida di porre la fiducia”, si legge nell’appello, pubblicato anche su Repubblica, di Luigi Manconi, ex testa calda di Lotta Continua che fa la morale alla Polizia , docente universitario, sociologo, astronauta, esperto di barbecue, 126mila euro di reddito circa, Elena Ferrara, senatoressatrice PD, 96mila euro di reddito circa, e Paolo Corsini, senatore Art.1-MDP, ex PD, 150mila euro e passa di reddito), la fame ridimensionata a non-urgenza sociale, piuttosto a dimostrazione di schifo verso il razzismo, degradata a vezzo di un’élite che vive in un mondo parallelo in cui gli individui hanno la faccia come il culo.

La tolleranza, et similia, è un concetto vuoto, se prima non lo si riempie di priorità realizzate.

Mi preoccupa il fatto che non ci sia più vergogna. Mi preoccupa che chi è addetto alla formazione degli uomini del domani, che dovrebbe rendere la scuola un’agenzia sociologica, e non un parcheggio per ragazzi o peggio ancora un’agenzia interinale, ma che abbia il dovere di contribuire a plasmare individui e gettare le basi solide e delicate del metodo culturale, anziché perdere l’appetito di fronte al volto del Ministro Fedeli, di vomitare dopo aver saputo delle sue credenziali, del suo curriculum, di fare lo sciopero della fame quando sente cose tipo “Riduciamo di un anno il liceo”, oppure, “Sì agli smartphone in classe come conquista della modernità”, si metta a smettere di mangiare per far sì che ognuno che arrivi in queste lande anarchiche possa diventare uno di noi. Uno di noi, chi, poi, che ormai siamo coinquilini e non cittadini?

Un cuscinetto di irresponsabile surrealismo divide i plebei dai patrizi, giusto una sottile demarcazione, scavata come la X sulla arrabbiatissima sulla scheda elettorale di un cittadino qualunque che fra qualche mese, dopo qualche anno, andrà a votare, tra l’élite che può, e il popolino che non può, l’élite che ostenta, e il popolino che s’incazza a stomaco vuoto. La storia, Vico mi perdoni, è piena di loop simili. Mi piace immaginare Vico ad aver a che fare con il termine loop, se tanto gli italiani, ormai, odiano l’italiano…
Ma la fame, è una cosa seria. Che questo popolo ha condiviso e reso danza triste che finisce con un ricordo passionale, del calore e dello sconforto di un tango, nelle canzoni popolari, nella guerra, nelle campagne, e reso ambiente familiare naturale la fame stessa, compagna infame di viaggio, dei contadini, degli operai, dei signori disgraziati scalzi che eravamo dopo la battaglia. La fame vinta, derisa, temuta, assassina, nel bianco e nero del nostro tempo, di Totò, ossessiva della Grande abbuffata, che anticipa la giustizia e l’ingiustizia, come la morte, come in Brutti, sporchi e cattivi.

La fame s’è sempre fatta, qui, con dignità. Magari non sempre. Ma la fame rimane una cosa seria. Specie in un’Italia alle prese con giusto, giusto 5 milioni di poveri assoluti. Assoluti. Cioè che difficilmente riescono a mettere insieme un pranzo, o una cena. Ed ecco che dalla serietà della storia, si passa troppo facilmente alla rappresentazione della miseria: le élite digiunano per vezzo, gli italiani per vizio, perché ci sono abituati.

Ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh, se vi pigliano gli italiani, cari deputati, cari insegnanti…

Se vi piglia la partita Iva che aspetta da tre mesi che lo paghino, se vi acciuffa l’imprenditore che ha dovuto chiudere per le tasse dopo un anno e mezzo. Il disoccupato storico, il padre di famiglia, se vi piglia il precario. Se vi pigliano costoro…non vi faranno niente, perché altrimenti avrebbero già infranto il vetro dell’istituzione con una molotov; non vi faranno nulla, ma covano rabbia e rancore, che un giorno, esploderà. Alla faccia dei baffi neri, degli spaghetti, della pizza e del mandolino.

Posso dire che tutto questo mi fa vomitare? A me sicuramente. A loro no, hanno lo stomaco vuoto…

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