Percepire l’inutilità della protesta. Nulla. Sentirsi inutili, impotenti, sterili spettatori di qualcosa che ci riguarda come sovrani, ma di cui siamo completamente succubi.

Il governo olandese non può far finta di nulla: una nave battente bandiera dei Paesi Bassi ha ignorato i divieti e gli altolà e sta facendo rotta a Lampedusa. È una provocazione e un atto ostile: avevo già scritto al mio omologo olandese, e ora sono soddisfatto che l’Ambasciatore d’Italia all’Aja stia facendo un passo formale presso il governo dei Paesi Bassi. L’Italia merita rispetto: ci aspettiamo che l’Olanda si faccia carico“. Così parlò Salvini, poco fa sul caso Sea watch, ormai giunta in acque italiane dopo aver forzato il blocco imposto (consegnatole la scorsa settimana dalla Guardia di Finanza, non da una squadraccia di fascisti di mare).

NON scrivo mai di immigrazione, tanto meno delle sue dinamiche.
NON sono affatto, deo gratias, un ennesimo esperto di politica internazionale.
NON mi appassiona il tema immigrazione, preferisco appassionarmi alla lenta morte d’Italia, perché di quella sono, mio involontario malgrado, responsabile anche io, come figlio della storia. Quella sì che ci riguarda. Come ci riguarda, però, anche un caso simile a quello della Sea Watch, con una semplice, magrissima, volutamente poco intellettuale e provocatoria riflessione di stampo estetico, e forse, futile, ma del resto liberatoria, condannati gli italiani come sono, a strillare simili a bestie nel recinto virtuale della propria impotenza (in materia d’immigrazione ed Europa, poi, non ne parliamo): una sciatta con i fusilli in testa, figlia di papà, gioca con la vita di oltre trenta uomini, infrange leggi internazionali, contribuendo a rendere il mondo ancora più ridicolo, e non si sentono fischiare proiettili d’avvertimento? Qualcuno che ha ben più potere di me, faccia la cortesia di parlare con i social media manager delle pagine dell’Esercito, della Guardia Costiera, della Marina Militare, per il cui operato va il più profondo rispetto, chiedendo di evitare di postare video “per uomini veri” in cui si vedono i nostri militari passamontagnati intervenire in 1,8 secondi nell’atto di abbordare navi nella difesa delle nostre coste. Questa volta, il mondo dice di non farlo, l’istituzione dice di non farlo, la Corte Europea dice di non farlo, l’Italia dice di non farlo.
Tutti, stavolta, dicono di non sbarcare, non fosse altro perché in uno Stato legittimamente riconosciuto, democratico e “sovrano”, c’è quel vizio, ogni tanto, magari dopo i pasti, di applicare le leggi, anche se per taluni svuotati d’ogni coscienza, l’unico ruolo dell’Italia dovrebbe essere quello di gran puttana e pattumiera del mondo, eterna migrante, precaria, senza Dio, né confine, senza reazione mentre viene penetrata in un angolo buio del villaggio globale, senza ardore, senza storia, né volto millenario, terra da calpestare. Tutto dicono di non farlo. E quella coi fusilli in testa cosa fa? Lo fa! Sbarcatela lei, sì, ma in carcere.
Domani mi carico un migrante sulle spalle e vado a fare una cazzo di rapina in banca. Chiunque può tenere sotto scacco un Paese fantoccio, con chiunque a rappresentarlo al Governo, poco importa. Chiunque. Senza troppi sofismi. Qui, dunque, si apre uno scenario ben più alto del dramma dell’immigrazione: della dignità di questo Paese cosa rimane?
La capitana coi fusilli, disgraziata, voleva fare qualcosa di utile? “Avrebbe potuto lasciare che la Guardia Costiera libica facesse il proprio lavoro riportando i 53 immigrati clandestini al porto di Zuara” – scrive Andrea Indini sulle colonne di questo giornale – “o avrebbe potuto accettare di farli sbarcare in Tunisia, porto sicuro a poche miglia dall’area di recupero. Avrebbe anche potuto evitare il braccio di ferro con l’Italia facendo rotta verso l’Olanda, Paese che le ha dato la bandiera da sventolare sulla nave“.
Da italiano, proprio come riporta la mia carta d’identità, mi sono rotto i coglioni del moralismo coi rasta, sempre più elevato di ogni sentore, raziocinio ed esigenza nazionale, di essere preso per il culo da porci che pensano esclusivamente al loro business, che se ne fottono della vita, dei confini, dell’umanità da difendere. E che, neanche a dirlo, cercano solo, insistentemente il morto per legittimare il loro perverso tornaconto ideologico, difesi scervellatamente dalla generazione “signore con i capelli bianchi che fa giovane, coi sandali, il mare irrinunciabile l’estate almeno tre settimane tra Puglia e Grecia, l’impegno sociale, lo yoga e i figli alla privata, ma tanto legate al dramma dei migranti”.

Ben dice il filosofo Regazzoni: “Se qualcuno in nome del Bene di cui si autoproclama incarnazione agisce in dispregio delle leggi, delle decisioni politiche e dei confini di un paese democratico è auspicabile che ne paghi le conseguenze. Perché non è un eroe: è come minimo un irresponsabile. Chiunque appoggi questa modalità integralista di affrontare (o usare) problemi complessi come quello dell’immigrazione oggi fa un danno in primo luogo alla causa che vorrebbe difendere“.

Mi sono rotto i coglioni di vedere l’Italia, ancora una volta, sodomizzata dai lanzichenecchi del pensiero, della vita, del tempo.

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