L’Italia si vende, l’Italia si sveste. L’Italia si presta, l’Italia s’è desta.

E nella infinita fragilità di questa nostra terra con le gambe piccole e ossute, ormai, che precipita verso la sua negazione, annegando nel politicamente corretto, il Caffè Greco, per l’esattezza, l’Antico Caffè Greco di Roma, aperto nel 1760, ora chiude, chiuderà – anche se lo sfratto sembra rinviato -, portando con sé la rovina e la tristezza. Dietro a questa vicenda si cela un mostro. La tristezza di un Paese che non riesce a imporsi nella sua forza di padre nobile, ma appare distratto e superficiale mentre un presidio di bellezza tale scivola via nel frastuono di giorni ritmici, asettici, uguali, votati al consumo, segnaposto virtuali appena alzati in una nuova alba di uomini replicanti ciechi e sordi, impossibilitati ad estendere la Bellezza come figli ed eredi del Rinascimento. Mix letale per ogni profondità, per ogni legame di dignità che porta a incontrarci in un eterno abbraccio di continuità con i nostri padri e con ciò che ci hanno lasciato in eredità oltre ogni preghiera. La bellezza sembra non partecipare più alla costruzione del reale, non è meta, né ambizione, né contemplazione del presente. Non accompagna i nostri giorni se non nella dimensione privata. Il ver sacrum verso la bellezza, ora, è sogno. Diventa mito. Solo sotto i portici onirici alberga il mito, in una dimensione di estasi leggera e quasi non vissuta veramente. I giovani che corrono a santificare il proprio esistere, di generazione in generazione, correndo a colonizzare la Bellezza come estasi ed esaltazione dell’armonia creatrice che supera una vita di mali, la morte, il magma del caos, per unirsi all’Ulteriore e tracciare la strada verso di esso. Il Bello solo unisce i mondi. Ver sacrum, come cento anni fa a Fiume, come Enea, come i fanti della Grande Guerra per la bella madre Italia da fondare morendo, momento della fondazione. E qui sta il mostruoso problema. Uomini svuotati come bigné caduti e calpestati. Uomini assenti a se stessi, masse al potere, nel dramma di Ortega y Gasset, troppo prese dall’illusione del potere e della partecipazione globale, eternamente distratti, oggi vedono chiudere il Caffè Greco di Roma, ignorandone, forse, la grandezza, le opere in esso contenute (oltre 300 esposte nelle sale, che lo rendono la più grande galleria d’arte privata aperta al pubblico esistente al mondo, i cui arredi sono vincolati dal 1953, come specifica Italia Nostra), i maestri che lì hanno generato virtù e lo hanno frequentato come casa di vita (tra i quali Goethe, Leopardi, D’Annunzio, Pellico. Nelle stanze in cui Gogol scrisse il suo Le anime morte). Chiude per una misera questione di soldi. Per un affitto che quadruplica in maniera apparentemente immotivata, e che diventa impossibile da sostenere per i gestori. Nel mondo dei saldi, dove la cultura è scontata, non nel senso della sua certezza creatrice nel nostro quotidiano, linfa vitale per (r)esistere, compagna e musa di vita degli uomini fragili e iperprogrediti, incapaci di ragionare sopra le cose e mantenere, troppe volte, aderenza al reale, intenti a confondere sempre amore ed eccitazione, felicità e soddisfazione. Il tocco erotico del Dio che appaga e non si prega.

Chiude, l’Antico Caffè Greco, mentre combattono tanti guerrieri quest’ultima battaglia, come Sgarbi, militante essenziale della libertà, che questa mattina, nel giorno fatidico e definitivo, presente per un presidio di solidarietà che ci riporta sulla strada del ritorno, contro la chiusura del caffè greco ha dichiarato: “Dove c’è da difendere la cultura e la storia lì c’è Vittorio Sgarbi. È stato così da sempre. Per questo motivo questa mattina ero a Roma a prendere un caffè all’Antico Caffè Greco che non può e non deve chiudere. Questa è una battaglia di civiltà. Contro chi pensa che col denaro è possibile fare tutto. Si può fare molto, ma non tutto. Non a scapito della memoria comune che va preservata. E ha offerto la colazione ai molti solidali con la causa. Una battaglia di civiltà, come quella contro i monumenti abbattuti per fare spazio all’ingombrante “religione dell’umanità”, citando Harouel, che alimenta il progresso con le folli pretese ingombranti dell’Uomo-Dio; come quella contro i capolavori rubati o quella contro le siringhe e il piscio che infestano i monumenti sulla pelle d’Italia. Passione dell’arte italiana. Ma anche passione militante. La presenza contro il vuoto, il movimento contro la stagnazione.

“La passione è uno strumento di difesa della ragione”, ben dice Sgarbi. Passione che è militanza: vita est militia, la vita è militanza, è palestra di ardimento e ordine, è bruciore di quell’animo, fuoco creatore, come nel tempio di Vesta, che non si accontenta di assistere, come numero sommato, alla distruzione, alla tristezza, alla povertà.

Cosa diamine stiamo perdendo, mentre un nuovo Apple store, non luogo perfetto di una vita takeaway accuratamente mondata da ogni profondità e resa utilitaristica ed essenziale al tocco, aprirà da qualche parte di questo perduto Paese. Appello, dunque, a chiunque sia vivo e con gli occhi aperti, appello a chiunque viva la bellezza come compagna di vita e la cultura come coltivazione di se stesso: come possibile contro la chiusura del Caffè Greco, anche se tutto pare perduto.

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