La libertà di espressione è ancora aggrappata a un filo. Lo Stato di diritto è ancora aggrappato a un filo, mentre si incarna la dimostrazione che la realtà prevale sulla narrazione e che, forse, ancora ci si può salvare dall’asilo ossessionato di tanta sinistra oltranzista e di un sistema cieco.

Censori, trinariciuti d’assalto, limitatori, negatori, ossessionati: annatevela a pija…con il giudice, stavolta davvero. Anche Facebook deve rispettare le leggi poste e la Costituzione. Non lo dico io, ma un giudice. Mai pensato ad una diretta collusione di Facebook con i piccoli pittori del conformismo più strillato e becero delle sinistre d’Europa. Per quanto potenti nella creazione e manipolazione del sentire comune, della cultura di massa, esse non hanno la forza di indirizzare Facebook, come multinazionale tra le più importanti del mondo, in maniera coatta. Eppure Facebook, in quanto “brand”, per parlare con il reggente delle sardine, è attento a tutte le mutazioni del dna del sistema mondo. Capta i proseliti, le onde che vanno per la maggiore affinché si concretizzi efficacemente lo studio di mercato e dia frutti. Se il mondo, in un plausibile annodamento cerebrale, visti i tempi, volesse solo uomini in grado di mangiare le banane con le orecchie, perché eticamente corretto, perché tutela della diversità, perché non può esistere solo chi mangia le banane con la bocca, discriminando gli altri, e i governi mondiali si prodigano affinché questo accada, Facebook darà il suo contributo: pecunia non olet. I fantastici intrecci tra spessore dell’anima e profumo dei soldi, tra società civile e mercato, tra idea e profitto, del resto, portano anche a questo.

Insomma non bastano i pistoleri della segnalazione perché la pagina di un movimento politico giuridicamente riconosciuto, tanto da potersi candidare alle elezioni ed eleggere democraticamente e a norma di legge propri rappresentanti nei consigli comunali, venga cancellata di colpo, assieme a centinaia di profili di aderenti e rappresentanti di quel movimento. Blitzone nascente da una precisa scelta di politica aziendale, lecito averne una, del resto.  Facebook deve fare di più: deve intercettare ciò che la gente vuole per offrirgli il luogo in cui si vuole esattamente sentire. Banale ma reale. Ecco la policy. Preesistente policy, che, così pare, va modellandosi sul comune e attuale sentire, tanto da chiudere pagine all’improvviso ed effettuare un’operazione che per celerità, estensione e focus sull’obiettivo, sembra a tutti gli effetti censurante. Operazione che ha condotto alla masturbazione collettiva di quell’asilo acefalo e acritico che tanta parte dell’oltranzista sinistra nostrana rappresenta. Quella secondo cui non esiste dialogo, non esiste pensiero divergente, né dirimpettai o, addirittura, per cui non esiste neanche “diritto all’ascolto” (aspetta, chi viene in mente parlando di questo?…).

E se la gente vuole antifascismo, ad ogni costo, Facebook darà loro antifascismo, o meglio si adopererà affinché la policy, già di per sé delineata, tutte quelle regole aziendali di un privato che, però, compone uno spazio sempre sottoposto ai dettami generali delle leggi, trovino la giusta sensibilità in quella determinata situazione. È un gioco di sensibilità, al momento. Anche a costo di veder spuntare sul naso di Zuckerberg la terza narice guareschiana. Ma in fondo, al social più bello che ci sia, cosa potrebbe interessare delle crisi isteriche, dell’andromenopausa e delle vampate di regime degli antifascisti italiani? È il mercato baby!

Casa Pound vince contro Facebook. Ecco la notizia, impazienti seguaci di questo chiacchierone. Non si vince niente, se non la dignità, la giustizia e quel lieve sapore di godimento nel mostrare a ognuno che la narrazione del reale è diversa dal reale e che, forse, siamo ancora in un Stato di diritto. Nel mondo delle fiabe per adulti italiani, Casa Pound Italia, la sua organizzazione, i suoi pensieri, le sue proposte, i suoi candidati eletti, i suoi dibattiti, convegni, ragionamenti sopra le cose, non dovrebbero esistere. Neanche provare a respirare. Strano per un movimento di pensiero, quale quello che la sinistra nei suoi vari rivoli incarna, che si sente superiore a qualsiasi cosa si muova, che inquadra nel leghista basic il nemico numero uno e che, proprio per la sua natura magnificamente colta e magnanima, dovrebbe concedere libertà di espressione a chiunque, vigente il sistema democratico, limitandosi al divertimento di annichilire, con la propria potenza culturale cosmica, la sciatteria altrui, anziché metterci anima e corpo per tentare di cancellarla a norma di legge. Preoccupa così tanto il pensiero di uno stolto, nell’Italia del Mes?

Nel corso di una guerra (in)civile mai terminata in cui l’assalto è all’uomo e non alle idee. Lombrosianesimo puro e cupo, inquietante pochezza di chi o ha finito le idee (la sinistra italiana a cento anni dal PCI e da Gramsci docent) o non le ha mai avute (sardine docent) o ha esaurito se stesso la propria utilità ed esperienza nella storia o di chi si tappa le orecchie, strizza gli occhi e comincia a urlare “Bella ciao”, a prescindere, per rassicurarsi come il gatto quando fa le fusa, come quando hanno detto all’establishment che Casa Pound Italia ha vinto la causa contro Facebook. Con l’Ordinanza dell’11 dicembre 2019 su ricorso di Casa Pound Italia, rappresentata e difesa dal Prof. Avv. Augusto Sinagra e dal Prof. Avv. Guido Colaiacovo, il Tribunale di Roma, in accoglimento totale del ricorso, ha condannato Facebook Ireland Limited all’immediata riattivazione della pagina di CasaPound Italia e del profilo personale di Davide Di Stefano in qualità di amministratore della pagina.

Ha fissato la penale di 800,00 euro per ogni giorno di violazione dell’ordine impartito.

Ha infine condannato Facebook Ireland Limited al pagamento delle spese di giudizio che ha liquidato in 15.000 euro, oltre spese generali e accessori come per legge.

Non bisogna essere degli ultras di partito per capire quanto sia importane e meritevole di menzione, in un bombardamento ideologico perenne e in questa orrida bulimia d’informazione, questo evento. Non è necessario essere tesserati di Casa Pound ma semplici amanti della libertà e della giustizia. Non bisogna tifare, bisogna capire che il reale non corrisponde alla narrazione. E le geometrie del reale non sono come le sinistre perverse e ossessionate vorrebbero raccontarci, ovvero quelle di un’Italia in emergenza fascismo, con un giovane e rampante Benito Mussolini che in diretta Facebook chiede alle casalinghe italiane di dare l’oro alla Patria per fare l’impero. E facciamolo st’impero, sempre che le partite Iva, con i loro 400 euro mensili in nero, senza garanzie, né tutele, gli operai mandati a cagare dalla multinazionale che delocalizza o che viene venduta, nel peggior colonialismo di sempre, i disoccupati cronici, i genitori costretti a scegliere se pagare i libri dei figli o le bollette di luce e gas, gli ultimi delle periferie, siano d’accordo.

“Una sentenza destinata a fare giurisprudenza. In questo passaggio si evidenzia come l’ormai ruolo pubblico svolto da Facebook non consente al social di Zuckerberg di fare il bello e il cattivo tempo. Quello tra CasaPound e il gigante social “non è assimilabile al rapporto tra due soggetti privati qualsiasi in quanto una delle parti, appunto FACEBOOK, ricopre una speciale posizione”. E deve dunque rispettare i principi costituzionali”, specificano dal Primato Nazionale. “Ecco il passaggio della sentenza. ‘È infatti evidente il rilievo preminente assunto dal servizio di Facebook (o di altri social network ad esso collegati) con riferimento all’attuazione di principi cardine essenziali dell’ordinamento come quello del pluralismo dei partiti politici (49 Cost.), al punto che il soggetto che non è presente su Facebook è di fatto escluso (o fortemente limitato) dal dibattito politico italiano, come testimoniato dal fatto che la quasi totalità degli esponenti politici italiani quotidianamente affida alla propria pagina Facebook i messaggi politici e la diffusione delle idee del proprio movimento. Ne deriva che il rapporto tra FACEBOOK e l’utente che intenda registrarsi al servizio (o con l’utente già abilitato al servizio come nel caso in esame) non è assimilabile al rapporto tra due soggetti privati qualsiasi in quanto una delle parti, appunto FACEBOOK, ricopre una speciale posizione: tale speciale posizione comporta che FACEBOOK, nella contrattazione con gli utenti, debba strettamente attenersi al rispetto dei principi costituzionali e ordinamentali finchè non si dimostri (con accertamento da compiere attraverso una fase a cognizione piena) la loro violazione da parte dell’utente. Il rispetto dei principi costituzionali e ordinamentali costituisce per il soggetto FACEBOOK ad un tempo condizione e limite nel rapporto con gli utenti che chiedano l’accesso al proprio servizio”.

Non è come sembra. Sì può ancora scardinare il regime dei pensieri comuni, la giustizia respira ancora, la libertà di espressione, anche. Questa è la vittoria più grande.

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