Ma cosa cazzo si pretende a puntare una pistola alla testa a qualcuno? Seriamente c’è bisogno di affermare “io sto con il carabiniere”? Realmente c’è in giro un dibattito, come un virus, che vede i pro e i contro il carabiniere? Ma veramente le caserme dei Carabinieri, nei luoghi delicati, non hanno postazioni mitragliera con una M249 carica colpo in canna pronta a tirare 473829 colpi al minuto verso chi spara alla caserma?
Domande. Inutile pianto greco. La forza di dover stare qui a dimostrare che le foglie sono verdi come atto rivoluzionario.
Oggi il carabiniere ha ucciso un quindicenne domani un trentenne, dopo domani un quarantenne. Anche quello è il suo lavoro. Anche questa è la normalità. Brutale fanghiglia sotto le scarpe del giorno italiano. Comunque questo non andrebbe bene. Non andrebbe giù lo stesso a questo girone infernale di strilli e capricci, nel Paese in cui si reclama legge e un omicida, che non indossa nessuna divisa, si becca quattro anni di galera per un morto ammazzato.
Un ragazzo problematico, emarginato, deve essere aiutato, non ucciso. Ma se ti punta una pistola in faccia, pronto a spararti, può essere ammazzato. E forse, quella pistola non era mossa dall’emarginazione, ma dalla consapevolezza del suo agire. Specie se quel ferro era puntato in faccia a un carabiniere, che per altro stava rapinando. Quella pistola finta che, però, il quindicenne voleva risultasse vera. Ogni azione piccola porta a un’ineluttabile verità.
Il suono dell’assenza, ben più forte di quella di uno sparo. L’assenza di una famiglia che poteva risparmiargli l’inferno e che poteva prendersi cura di lui, anziché distruggere un ospedale. Perché tanti figli dei vicoli dei Quartieri spagnoli, o di quei quartieri simbolo del limite civile di tutta Italia, hanno superato il baratro sputando sangue e paura; ce l’hanno fatta a guardarsi allo specchio, a reinventarsi, ripensarsi, dedicarsi la vita. E hanno schivato come ganci e montanti di una pericolosa montagna di muscoli, le rapine, le sparatorie, la coca, le puttane e le puttanate. Come Fabio Pisacane, calciatore del Cagliari, sulla cui esperienza è uscito un libro di Franco Esposito. E come tanti altri che hanno emarginato l’emarginazione, contro tutto e contro tutti
Viene da sé il vero virus del nostro tempo: l’assenza degli uomini. Purtroppo non si tratta di aver demolito, con la postmodernità, i modelli di autorità. Siamo giunti oltre. Qui si tratta di condannare persino chi è posto lì per difendere la nostra sicurezza. Condannarlo sempre, dubitarne sempre, aumentare lo stress e la pressione sempre, pretendendo, da quell’uomo in divisa, l’impotente controfigura del soldatino di piombo. Per il capriccio di un uomo folla in mutande sul divano.
Pertanto, banalmente: cosa avrebbe dovuto fare un Carabiniere rapinato con una pistola, vera o finta, in faccia? Ah, vero: fare la fine di Mario Cerciello Rega. Giusto…
Indagate i giardinieri per aver tagliato il prato. Indagate i gelatai per aver servito crema e pistacchio.
L’ennesima storia di tristezza all’italiana nell’Italia ridicola, che non termina mai di umiliare se stessa, fotocopia sbiadita di un Paese maturo. Neanche più il coraggio trasgressivo della delinquenza di dover affrontare la morte per vocazione, quella che sa che si può morire. Neanche più il buon senso di evitare lo scatenarsi della tempesta emotiva della curva nazionale. Neanche più l’idea che ad aver ammazzato il quindicenne non sia stata la mano di un carabiniere, ma l’assenza dello Stato, di lavoro, di una formazione, di un’educazione, la disabitudine alla legalità, la sterilità della famiglia.
In certe terre, lo Stato e il malessere di vivere non s’incrociano mai. E quando lo fanno, il più delle volte, si sparano addosso.

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