Fratelli sudditi, io qui, dalla mia porzione di responsabilità in quarantena, come tutti noi, lo grido fino a farmi sanguinare le corde vocali: gli italiani stanno impazzendo nell’assenza di un domani. Della forma di un domani, schiacciati dal terrore. Si rischiano dei danni ben più profondi e duraturi. Una bomba a orologeria che sommata alla perdita del lavoro e della fiducia, rischia di essere peggiore, nel tempo, di ogni scenario sanitario. Non vi è pietà. Non vi è consolazione. Sì stringono al collo i sessanta metri quadri dell’appartamento di periferia. Sì stringono le pareti, come in un’antica trappola egiziana. Cautela, gradualità, attenzione, ma non suicidio. Non un fottuto suicidio! Non se ne può più. È un massacro che esula dai reali effetti sulla salute del mostro e si accompagna ad essi. Non ne possiamo più. Non di rispettare le regole, ma dell’inconsistenza, dell’improvvisazione, della confusione, della fragilità, della precarietà, della miseria umana tradotta nel potere. Il nemico da vincere è la Bestia, è il virus, ma anche i suoi effetti collaterali. Rinunciare a questa considerazione è criminale.

Non si può più ignorare l’emergenza psicologica in corso. Strilla silenziate dalla voce dei banditori che gridano più forte gli editti del faraone. Un aspetto drammatico e relegato a fantasia periferica di cui tutti siamo vittime; quell’antro oscuro ridimensionato dal terrorismo mediatico e, ancor più, dal governo che non può esclusivamente rifugiarsi nel “telefono amico” predisposto dal ministero della Salute.

Si stanno massacrando gli italiani, già provati dal virus. Nell’incertezza, nel tremore dei tentennamenti dei decreti, nell’assenza di una precauzione psicologica fondamentale, nell’infodemia incolta, in quella vomitevole bulimia di informazione che nella scelta della paura come mezzo di gestione sociale si incarna violentemente e che sostituisce il meccanismo fondamentale che lega lo Stato ai cittadini: la fiducia. Fiducia alla base suprema della democrazia e del nostro sistema. Fiducia con cui i cittadini per mezzo del voto esprimono la propria volontà di delega ai membri di quei partiti che formano il Parlamento che sfocia nel governo; parlamento e parlamentarismo, quella dinamica tanto italiana che ha generato questo insopportabile mostro governativo. Senza fiducia non vi è nazione, ma mera definizione (geografica).

I pericoli di questo momento umanamente sismico sono molteplici e non entrerò nel merito delle questioni politiche economiche, della confusione e dell’improvvisazione al potere, della incostituzionalità degli editti del faraone Conte  – già definiti in tal modo persino da Sabino Cassese o da Baldassarre, i cui libri riempiono gli zaini degli universitari -, della volontà governativa lampante, per tornaconto elettorale o per inadeguatezza, chissà, di discolparsi da tutto per incapacità di assumersi (pesanti) responsabilità, del bluff e delle tristissime battaglie tra cravattati virologi col BMW X5, del clima da guerra (in)civile tra lucidi e terrorizzati – La nuova guerra (in)civile si alimenta di una duplice divisione. Quella dello Stato di necessità, chi può e chi non può (parlare, vivere, ricevere uno stipendio, annoiarsi, non arrabbiarsi, pensare al futuro) e quella dello stato di incoscienza, non più élite contro popolo ma uomo sovrano di sé stessi, lucido, capace di reagire, di tornare alla propria integrità distrutta dal paternalismo di Stato e dagli editti del faraone, contro uomo folla, capace solo di replicare il volto del capo, incapace di essere lucido, nazione, di avere un pensiero critico. Replicante, perfettamente conformato agli editti del faraone -, dei delatori, degli sceriffi voyeur, dell’egoismo e della colpevolizzazione e di molto altro. Mi interessa non la bolgia di quelle masse, con eterna pace di Ortega y Gasset, che volevano andare al potere per distruggere il sistema finendo per diventare essere stesse sistema. Mi interessa l’idea dell’assenza del domani, che Marco Zonetti, stimato collega, inquadra perfettamente in un suo pezzo che vale la pena riportare interamente. Eccolo:

“Domani. Una piccola parola di sole sei lettere che scandisce la nostra vita fin da quando iniziamo a parlare. Una piccola parola di sole sei lettere la cui scomparsa può seriamente compromettere il nostro equilibrio psicologico. In questo isolamento forzato dovuto al Coronavirus, con il bombardamento mediatico di notizie contrastanti su come potrà e non potrà essere il nostro “domani”, se mai ci sarà, ci sentiamo sempre più spaesati, privi di punti di ancoraggio, in animazione sospesa in un limbo del quale non si vede la fine.

I Masai non hanno il concetto del “domani”, tant’è che – come ci spiega icasticamente Karen Blixen ne La Mia Africa – se malauguratamente vengono rinchiusi in prigione muoiono di lì a poco, poiché sono convinti che la prigionia sarà la loro condizione perenne. Una cosa simile sta accadendo a molti “detenuti” da Coronavirus. Prigionieri agli arresti domiciliari senza per giunta aver commesso alcun reato, molti crollano in uno stato depressivo al quale sembra non esservi rimedio né fine, perché “domani” pare essere una parola vuota e priva di significato.

L’isolamento dagli amici o dalle persone amate; la reclusione coatta entro quattro mura; il timore del contagio; il terrore di vedere la propria attività fallire incondizionatamente; la scomparsa di un’idea di futuro o la paura di un futuro nero equivalgono a una sensazione di “ergastolo” in cui per l’appunto il “domani” non esiste più.

In molti casi tutto questo coacervo di sensazioni si riassume in una progressiva agorafobia, la paura cioè di lasciare la propria casa e di uscire all’esterno, in un mondo nel quale – per giunta – circola un nemico invisibile che ha divorato i nostri “domani”. Oltre al fatto che l’assenza di un’idea di “futuro” può facilmente sfociare in un desiderio autodistruttivo o di violenza contro sé e gli altri, in cerca di un capro espiatorio per quella che appare un’isostenibile condizione. 

Per questo, oltre agli aiuti economici sarebbe il caso di potenziare gli ausili psicologici specie se la ripartenza dovesse essere procrastinata a tempo indeterminato. Benché la filosofia del Carpe Diem c’insegni a cogliere il fiore del giorno e a godere il più possibile del nostro “oggi”, restituire ai cittadini la speranza nel “domani” dovrebbe essere al primo posto dell’agenda istituzionale”.

Cos’altro aggiungere?

Non è un fottuto derby politico, né un tentativo di destabilizzazione degli atti del governo, a quello il governo già provvede autonomamente. Non c’è nessun futuro elettorale se migliaia di persone mediteranno a quale trave impiccarsi alle tre di notte, con gli italiani che vivono un letterale dramma mentale, parola dell’Ordine degli psicologi, non mia, come riporta l’Adnkronos: “Il 63% delle persone ha disturbi come l’insonnia, mal di testa, mal di stomaco, ansia, panico e depressione. Sono i dati dell’indagine del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi, il 63% dei connazionali si definisce “molto o abbastanza stressato”, mentre il 43% degli intervistati denuncia “un livello massimo di stress”. “Questo perché manca l’idea del futuro e noi, che eravamo abituati a proiettarci nel futuro, ci vediamo improvvisamente bloccati”, afferma Alessandra Lancellotti, psicoterapeuta e life coach. “Stress da preoccupazione, lavoro, incertezza porteranno un’ondata di disturbi psichici nel Belpaese, andando ad appesantire un sistema sanitario già in difficoltà su questo fronte, in un paese dove il disturbo psichico ancora non viene riconosciuto socialmente – avvertono gli psicologi – Una grande onda di stress post-traumatico, che interesserà molti italiani, e che potrà rappresentare il vero conto salato della crisi in corso”.

Non esiste fazione per la salvezza della Nazione. Così che se Matteo Renzi, di certo lontano anni luce dalle visioni del sottoscritto, scaltro lupo politico che a differenza di questi signori giardinieri al potere, il suo domani lo sa leggere e vedere, afferma “Nel momento di massima emergenza l’Italia ha avuto 4MILA pazienti in terapia intensiva per COVID.  Oggi sono 1.863.  Dire che a giugno potrebbero esserci bisogno addirittura di 151MILA posti in terapia intensiva è FOLLE. C’è chi vuole seminare il panico. Noi manteniamo lucidità”, non gli si può dare torto. Affatto. Calcolo, per altro, rivelatosi sbagliato.

Ora la battaglia è contro il terrore. Per l’equilibrio psicofisico, contro il silenzio di Stato verso un lento logorio mentale.

E non si dica che è un terrore utile e propedeutico alla salvezza di un popolo adolescente che ha bisogno di schiaffi di correzione. Gli italiani, già trattati ampiamente come bambocci, magari per il mero egoismo dettato dalla paura di ammalarsi e non per un più alto sacrificio di Patria, si sono comportati con alto senso di responsabilità, chiusi nelle loro gattabuie o prigioni dorate, in questa infinita prigionia necessaria alla tutela della salute pubblica. Al paternalismo di Stato, che appare sempre più come un participio passato, all’insopportabile spocchia che si esplica nelle battutine sui party con gli amici, mentre gli italiani crepano, alla satira che supera la realtà nell’animare il dibattito nazionale sul termine “congiunti” e nella trasformazione delle Faq a fonte di diritto, bisogna ricordare che la prezzoliniana natura furba e fessa degli italiani, quasi ingestibile, superficiale, non si sta manifestando. Ma di questo passo no, NON ANDRÀ TUTTO BENE. Affatto.

Essere governati dalla solita confusione improvvisata, contraddittoria, faraonica, sentirsi schiavi della miseria umana, trattati come bambocci dal paternalismo solitario di Stato, l’État, c’est moi!, brucia fortissimo, specie per quella che si può considerare una tra le peggiori classi di uomini, non solo di politici. Un potere e un premier che “ci porta alla crisi psichica”, per dirla con Marco Tarchi, docente di Scienza politica all’Università di Firenze, in una sua interessante intervista.

Snaturare ucciderà. Interrompere l’asse degli uomini con le proprie dimensioni per asciugare, nell’inevitabile distanziamento fisico e sociale permanente, ogni profondità legata all’istinto di socialità come produzione del benessere. Ogni strada viene chiusa. Rimarrà aperta solo quella che ci conduce ad essere perfetti individui solitari che hanno la possibilità di recarsi al lavoro e di produrre, unica forma di civiltà concessa, in confronto a cui le altre saranno bollate come forma di inciviltà, di vizio e di capriccio. Chiusi ad arredare il ghetto, soli, lontani, distanziati, nella vita che diventa un atto privato.

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