Per l’Occidente, il contrasto militare all’espansione dell’integralismo islamico implica lo scontro con una diversa concezione della guerra che hanno islamisti e gruppi jihadisti. Isis, Al Qaeda ma anche Hezbollah e Hamas applicano quella che, tecnicamente, gli analisti chiamano “guerra asimmetrica”; una guerra non convenzionale che tende rendere inutilizzabili alcuni criteri giuridici ed etici fondanti: dalla distinzione netta tra combattenti e civili, al rispetto degli accordi di tregua, al trattamento dei prigionieri di guerra.
Per questo l’Occidente si trova spesso in un difficile equilibrio tra il rispetto delle regole internazionali e il rischio di inseguire questi soggetti nella loro idea di una “guerra senza regole” con grave impatto sull’emotività della propria opinione pubblica.
Per capirlo proviamo a vedere un recente conflitto già dimenticato, sostituito dall’emergere dell’offensiva jihadista in Iraq e Siria e dalla tregua duratura tra i contendenti: quello tra Israele e Hamas. Alcuni numeri di quest’ultimo conflitto ci aiutano a capire questa doppia natura della guerra tra Occidente e islamismo.
Dall’inizio dell’operazione “Protective Edge”, Hamas ha sparato verso Israele 4.564 tra razzi e colpi di mortaio (circa 91 al giorno); di questi il 20% (923) sono esplosi fuori dal territorio ebraico. Dei restanti 3.641, solo 224 hanno colpito zone residenziali o densamente abitate. Da notare che solo 735 missili sono stati neutralizzati da Iron Drome il discusso sistema di difesa israeliano da sempre al centro di polemiche per gli eccessivi costi e la non sicura precisione.
Le Forze Armate israeliane hanno annunciato di aver colpito quasi 5.300 obiettivi palestinesi (siti di lancio, magazzini armi, uffici e basi di Hamas) e di aver distrutto 34 tunnel costruiti per infiltrare terroristi in territorio israeliano.
La vera differenza tra i due belligeranti è sul tragico calcolo delle vittime delle operazioni militari. Ufficialmente Israele ha avuto 72 morti (64 soldati e 6 civili, tra cui 2 bambini).
Secondo le fonti di Gaza i morti palestinesi sarebbero stati 2.139, perlopiù civili e tra questi 490 bambini.
La quantità di vittime palestinesi civili è alla base delle accuse nei confronti di Israele che hanno messo in discussione la legittimità dell’uso di una forza che sembrava sproporzionata ed indiscriminata; neppure le prove di come Hamas utilizzasse ospedali, scuole e moschee come basi di lancio dei propri missili e i propri civili come scudi umani, sembrava giustificare la violenza delle operazioni israeliane.
Eppure, poiché le guerre sono purtroppo anche numeri e statistiche, nel drammatico conteggio qualche osservazione va fatta.
Il 29 luglio scorso il Time ha pubblicato un’analisi accurata sui dati delle vittime palestinesi che secondo le autorità di Hamas, alla fine di luglio, erano per l’80% civili. La prima anomalia è che il 44% era composto da giovani maschi di età compresa tra i 17 e i 30 anni; un picco eccessivo considerando che quella fascia di età corrisponde al 10% degli abitanti di Gaza. Le vittime femminili erano meno del 10% pur rappresentando un quarto della popolazione locale. I bambini (che sono oltre la metà degli abitanti di Gaza) il 20%. Queste cifre, nel loro orrore e nella freddezza di un calcolo che sembra disumano, aiutano però a capire la difficoltà di orientarsi in una guerra in cui le regole sono diverse tra i contendenti.
Per Hamas, come per molti dei gruppi integralisti islamici, non deve esistere una chiara distinzione tra combattenti e civili; ecco che quindi la differenza tra i dati dei decessi e la composizione della popolazione di Gaza fa ritenere che una grande quantità delle vittime appartenesse a quella zona grigia nella quale le organizzazioni integraliste reclutano i loro giovani e li spingono a combattere come soldati pur essendo civili.
La difficolta dell’Occidente ad orientarsi nei conflitti mediorientali riguarda anche il fatto che noi abbiamo un’idea chiara e definita di cos’è una guerra; un’idea costruita in secoli di riflessioni giuridiche e filosofiche sul tema della legittimità e del comportamento da tenersi in guerra, che hanno sempre attraversato coscienze e contraddizioni. Per altre culture non è così: dal 2001 sono stati oltre 25.000 i razzi lanciati dai palestinesi contro obiettivi civili israeliani, il maggior numero nei periodi di pace o di tregua. A questa pioggia di fuoco Israele ha sempre privilegiato la protezione della sua popolazione rispetto alle possibili e legittime risposte. Nella tradizione occidentale le guerre si dichiarano e poi si combattono. Anche in questa è una differenza.

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