UnknownIL CASO NEMTSOV
Il 27 febbraio scorso nel centro di Mosca veniva assassinato Boris Nemtsov, storico oppositore di Putin e figura tra le più carismatiche della dissidenza russa.
L’omicidio suscitò in Occidente enorme indignazione tanto che tutti i leader lo condannarono apertamente: chi ammonendo Putin di “svolgere un’indagine rapida, imparziale e trasparente” (Obama); chi esprimendo il proprio “shock e disgusto per l’assassinio spietato” (Cameron); chi ricordando Nemtsov come “un coraggioso e infaticabile difensore della democrazia” (Hollande).
La presa di posizione di tutti i capi di governo occidentali (compresa la Merkel e Renzi), mise in moto una collaudata catena di comando dell’informazione: pur in assenza di prove e di fronte ad anomalie evidenti (Nemtsov fu assassinato in mezzo alla strada, a due passi dal Cremlino e il giorno prima di una manifestazione organizzata da mesi dai partiti di opposizione russa), il meccanismo di propagazione per cerchi concentrici si attivò immediatamente e per settimane, il sistema dei media occidentali martellò l’opinione pubblica sul sospetto di un diretto coinvolgimento di Putin nell’omicidio; mentre agli intellettuali spettò il compito di costruire la narrazione attorno alla quale l’omicidio Nemtsov e la sua figura dovevano essere raccontati.
E così mentre il New York Times auspicò niente di meno che una commissione d’inchiesta internazionale per dissipare i dubbi sul ruolo avuto da Putin, sull’Huffington Post, Bernard Henry-Levi, filosofo e menestrello delle bombe umanitarie, paragonò Nemtsov a Solzhenitsyn e Putin a Stalin (variante dell’equiparazione Putin-Hitler).
Anche i media italiani non si sottrassero dall’operazione: in Italia, un intellettuale liberale come Angelo Panebianco, sul Corriere della Sera, arrivò ad affermare che gli amici italiani di Putin erano di fatto fiancheggiatori “di un regime brutale disvelato dall’omicidio Nemtsov”: ragionamento tribale che spiega lo stato comatoso in cui versa la cultura liberale del nostro paese.

UCRAINA: EPIDEMIA DI SUICIDI
Facciamo un salto di qualche centinaio di chilometri: da Mosca a Kiev.
Dall’inizio dell’anno, sono state ben undici le morti a sfondo politico in Ucraina. Di queste, nove hanno riguardato esponenti dell’opposizione al governo filoamericano di Poroshenko e due, importanti giornalisti filo-russi.
Le autorità di Kiev hanno concluso le indagini catalogando otto di queste morti, come suicidi, anche se solo per uno (Stanislav Melnik) è stato ritrovato un biglietto con un generico: “chiedo scusa”.
Questi otto appartenevano al Partito delle Regioni, la formazione politica di opposizione fondata dell’ex presidente filorusso Janukovich; alcuni di loro avevano ricoperto ruoli sia politici, sia amministrativi, sia manageriali nel precedente governo.
Gli altri tre sono stati omicidi confermati dagli inquirenti. Tra questi, quello di Oleg Kalashnikov, uno dei leader della dissidenza ucraina ed ex parlamentare che aveva organizzato le manifestazioni anti-Maidan e denunciava le infiltrazioni dei gruppi neo-nazisti ucraini nel sistema politico di Poroshenko.
Dei due giornalisti assassinati, Oles Buzina era il più noto; intellettuale attivo nei movimenti di opposizione a Poroshenko era il direttore del quotidiano in lingua russa Segodnya. Si era dimesso dopo che il suo editore, su minaccia delle autorità ucraine, gli aveva censurato degli articoli e vietato di partecipare  a dibattiti televisivi e radiofonici.

MEDIA E DEMOCRAZIA
Ovviamente, sui media occidentali farete fatica a trovare qualche riferimento a questi episodi.
Nessun grande giornale americano ha mai promosso inchieste internazionali per fare luce su questa epidemia di suicidi che avrebbe colpito l’opposizione al governo Poroshenko; né alcun intellettuale ha sprecato una riga per piangere sconosiuti dissidenti.

Il ruolo dei media nella narrazione contemporanea condiziona sempre più pesantemente la percezione della realtà, costruisce l’immaginario attorno al quale prende forma una consapevolezza, nella definizione dei limiti della verità e di ciò che chiamiamo diritto di cronaca. Per dirla più semplicemente, una cosa è vera solo se i media la raccontano, altrimenti non esiste.
Gli omicidi-suicidi degli oppositori in Ucraina  non esistono; e non esistono, non perché non siano avvenuti, ma perché i media occidentali non li hanno voluti raccontare.

Il vero pericolo per le democrazie occidentali non è Putin, ma il nostro sistema dei media e i suoi intellettuali, quando manipolano la verità.

 

Immagine: Manuel Alvarez Bravo, Fallen sheet, 1940

Su Twitter: @GiampaoloRossi

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