twitter_terroristALAA E ALI
In due non fanno 40 anni e rappresentano la nuova generazione di “Twitter terrorist”, giovani musulmani occidentali che usano i social per contribuire alla causa islamista, fare propaganda e proseliti e raccogliere fondi per i combattenti jihadisti.
Lei si chiama Alaa Esayed, ha 22 anni e viene da Kennington a sud di Londra. L’Old Bailey (il tribunale penale) l’ha condannata a tre anni e mezzo di carcere.
Sul suo account Twitter (@bentalislam, figlia dell’Islam) ha pubblicato in meno di un anno oltre 45.000 messaggi (più di 100 tweet al giorno) inneggianti alla jihad e foto di jihadisti uccisi in combattimento o prigionieri “infedeli” prima dell’esecuzione; foto che venivano usate anche sul suo account Instagram. Tra il materiale che la prolifica “Twitter terrorist” amava pubblicare c’erano anche esortazioni alle mamme islamiche affinché inviassero i loro figli a combattere per la Jihad: “quando tuo figlio inizia ad andare a scuola fai crescere in lui il desiderio del Kalashnikov invece di attaccarlo ad una PlayStation”. E poemi sul martirio: “Io vi dico che voglio essere martire per la terra della jihad e sono felice di rispondere a quella chiamata e il Allah mi aiuti a raggiungere ciò che desidero, lo Stato islamico in Iraq e Siria”.
Lei si è difesa affermando di ignorare il contenuto del materiale che pubblicava, non conoscendo l’arabo; e che il suo era solo un taglia e incolla da altri siti. Quindi per il suo difensore non poteva essere accusata d’istigazione al terrorismo perché mancava “l’elemento creativo”. Eppure, senza creatività, il suo account era indicato, nei siti jihadisti, tra i primi 60 account da seguire.

Lui invece si chiama Ali Shukri Amin ed è un liceale americano di 17 anni dalla Virginia; con il suo account @Amreekiwitness, ha svolto un’insospettabile attività di reclutamento, aiutando un suo amico ad unirsi alla jihad raggiungendo in Turchia i contatti che lui stesso aveva allacciato sul social media.
Non solo, ma ha ammesso di utilizzare Twitter per diffondere consigli su come aiutare materialmente l’Isis, a partire dall’uso dei Bitcoin (le monete virtuali non tracciabili) per far arrivare contributi e donazioni ai combattenti islamici.

FASCINAZIONE ISIS
Il meccanismo di fascinazione che l’Isis produce in molti giovani mussulmani occidentali, trova nei social media terreno fertile per produrre meccanismi di adesione spontanea e spesso irresponsabile. D’altro canto la propaganda in rete dell’Isis è stata definita una “gold-standard” per qualità e quantità; e Matt Olsen, ex-direttore del National Counterterrorism Center, spiegò un anno fa che lo Stato Islamico ha prodotto “la più significativa macchina di propaganda globale mai utilizzata da un’organizzazione terroristica in particolare sui social media”.

E tra questi, Twitter è tra i più usati dalle organizzazioni integrlaiste. Secondo gli ossessivi controllori della nostra libertà digitale, la responsabilità sarebbe dell’azienda stessa: Twitter è tra le poche web-company a non aver aderito a Prism, il programma di controllo e sorveglianza globale costruito dagli americani sulle reti di comunicazione.
Ma la ragione non è solo questa. Twitter, per sua stessa natura ha poche informazioni da poter girare alle autorità di sicurezza Usa: la maggioranza dei suoi messaggi sono pubblici e non raccoglie dati sensibili dei suoi utenti (indirizzi, carte di credito o altre informazioni d’identificazione oltre gli indirizzi IP).

UNA BATTAGLIA LUNGA
Ma, al di la di Twitter, il problema è ancora più complesso: fino ad oggi le agenzia di controterrorismo non sono riuscite ad individuare una strategia capace di contrastare efficacemente la propaganda dell’Isis ed a volte i tentaivi sono incredibilmente goffi; come quello di Richard Stengel, l’ex direttore editoriale del Time, che Obama ha promosso “Sottosegratrio per gli Affari Pubblici”, che vorrebbe creare una controinformazione virale attraverso 350 account twitter direttamente alimentati dal Dipartimento di Stato.

La verità è che la battaglia sarà lunga perché il nemico utilizza una cifra comunicativa (anche nelle immagini di violenza) del tutto simile a quella dell’industria entertainemt occidentale. Troppo simile per non pensare che nasca proprio qui.


Su Twitter: @GiampaoloRossi

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