marino_renziSE ROMA NON FOSSE ROMA
Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, è nervoso e ha parecchie ragioni per esserlo: se Roma non fosse Roma, ma un qualsiasi altro comune italiano travolto da uno scandalo come quello di Mafia Capitale, probabilmente sarebbe già stato sciolto.

Lo scioglimento di un Comune per infiltrazioni di criminalità organizzata non richiede prove convalidate in sede giudiziaria, ma solo elementi che attestino come l’organizzazione criminale fosse in grado di condizionare e influenzare gli organi amministrativi nello svolgimento delle loro funzioni; ovvero, come decretato dalla Corte Costituzionale nella sentenza del 1993: quando “emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o forme di condizionamento degli amministratori stessi che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento delle amministrazione (…), nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati (…)”.

LA SOLITA DOPPIA MORALE
D’altro canto, coloro che oggi ci spiegano che commissariare Roma sarebbe un danno incalcolabile per l’immagine del Paese, furono gli stessi che non si fecero molti scrupoli, nel 2011, a distruggere l’immagine internazionale dell’Italia colpendo (con la complicità di magistrati e tecnocrazie europee) l’allora Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi attraverso un processo farsa che attraversò i media del mondo ed un’aggressione alla nostra economia con la famosa operazione-imbroglio dello spread.

DIMISSIONI DI MARINO: UNICA VIA D’USCITA
Per uscire dall’impasse di una città ormai ingovernabile il Pd ha una sola scelta: far dimettere Marino e tornare al voto in attesa che la magistratura faccia il suo lavoro; riconsegnare alla sovranità popolare la scelta su chi deve governare la capitale d’Italia travolta da uno scandalo che si è abbattuto con violenza inaudita sul partito che sostiene questo sindaco, su pezzi della sua giunta, su alcuni dei suoi più stretti collaboratori e su quel sistema delle cooperative rosse da sempre braccio armato di potere, consenso (e denaro) della sinistra italiana, non solo a Roma.

Invece da giorni assistiamo ad un’altalena irresponsabile: da una parte Renzi finge di spingere alle dimissioni un Marino barricato in Campidoglio, dall’altra il Pd romano (terrorizzato all’idea di andare al voto), fa di tutto per evitare che i cittadini possano scegliersi un nuovo sindaco. Intanto Roma affonda nella fogna in cui Marino vorrebbe gettare i suoi rivali politici.

PD = IL PARTITO È LA DEMOCRAZIA
Da anni, in questo paese, democrazia e sovranità popolare sono ostaggio delle psicosi del Partito Democratico.
Matteo Renzi divenne presidente del Consiglio senza essere stato eletto dai cittadini ma da una direzione nazionale del Pd seguendo le convulsioni interne del Partito Democratico. E, cosa mai accaduta nella storia repubblicana, una maggioranza parlamentare votò un nuovo presidente del Consiglio (Renzi) senza mai sfiduciare quello che era in carica (Letta), che fu poi cancellato dalla memoria della sinistra italiana un po’ come nel Politburo comunista si cancellavano dalle fotografie ufficiali i dirigenti caduti in disgrazia.

Ieri a Palazzo Chigi e oggi in Campidoglio, per quelli del Pd la democrazia è roba loro. Non esiste un diritto oggettivo alla sovranità. La sovranità è puro capriccio tattico: se conviene si applica, altrimenti si surgela per tempi migliori. L’identificazione della democrazia con il partito è questione che attiene da sempre alla sinistra italiana e ai regimi autoritari.
A Roma si voterà solo quando il Pd lo vorrà, perché in fondo Pd non significa “Partito Democratico”: significa che, per la sinistra, il Partito è la Democrazia; tutto il resto è noia.


Su Twitter: @GiampaoloRossi

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