far westUN GRANDE FAR WEST
Non c’è nulla che compatti l’America più di un bel bombardamento umanitario. E così, come d’incanto, sono bastati un po’ di missili su una base aerea siriana praticamente deserta, perché Donald Trump si trasformasse in un Presidente rispettato da coloro che fino al giorno prima dicevano: “Trump is not my President”.
Dal New York Times ai democratici, dall’élite neo-con a John Mc Cain, passando per gli analisti della Cia, i giornalisti liberal, i guru del mainstream, è stato un profluvio di elogi per la determinazione mostrata e la prova muscolare che fa vedere che l’America c’è, cribbio!
Perché in fondo, ciò che spaventava di Donald Trump non era il suo populismo, la sua goffaggine, le sue posizioni anti-immigrati (in una nazione in cui Obama di immigrati ne ha cacciati due milioni e mezzo nel silenzio assordante dei liberal radical-chic);

Di Trump terrorizzava il suo “pacifismo” nazionalista, l’isolazionismo sbandierato in campagna elettorale, l’idea che l’America dovesse smetterla di fare il poliziotto del mondo. Il fatto che lui, da buon “realista” non ce la facesse proprio a credere alle isterie ideologiche anti-russe, alle scemenze che “Putin vuole invadere l’Europa”.
Posizioni inaccettabili per il “partito della Guerra” che domina a Washington da oltre 20 anni e che vive di bombe e cattivi da combattere. Perché senza guerre quell’America lì fallirebbe: i militari andrebbero in pensione, quelli della Cia finirebbero a scrivere sceneggiature ad Hollywood, i banchieri della Fed smetterebbero di pompare dollari sicuri da rischi inflazionisitici e l’industria militare (vero motore trainante dell’economia americana) chiuderebbe i battenti.
Per questo l’America che conta ha amato Obama che le guerre le ha fatte anche più di Bush e le armi le ha vendute più di qualsiasi presidente Usa, ma sempre dietro l’immagine di un Nobel per la Pace che lo ha protetto da critiche e pruriti moralisti.
Per questo, al contrario, Trump è diventato il collaborazionista, il Manchurian Candidate, l’utile idiota di Putin, il pericoloso dilettante allo sbaraglio.

Ma il bombardamento in Siria ha cambiato tutto: “Trump ce lo siamo cotto a puntino” devono aver pensato.
E poco importa che i 59 missili tomahawk lanciati abbiano fatto solo qualche buco nel terreno (oltre ad ammazzare 6 soldati ignari); tanto che 12 ore dopo la base siriana era di nuovo operativa e i caccia di Assad ripartivano tranquilli per le loro azioni anti-Isis e anti-Al Qaeda.

A cosa sia servito veramente l’attacco di Trump in Siria ce lo dice Charles Krauthammer, forse il più grande opinion maker conservatore ospite di Fox News: Trump “ha voluto inviare un messaggio… ha voluto dire: c’è uno sceriffo in città. Dopo otto anni l’America è tornata e voi non potete fare quello che volete”.
Mai immagine è stata più azzeccata. Per l’America il mondo è un grande Far West, un’immensa città di frontiera da difendere e tenere a bada contro le incursioni di pistoleros, bande di tagliagole ladri di bestiame ed in cui lo sceriffo è l’America stessa; e perché l’ordine sia mantenuto occorre che ogni tanto lo sceriffo prenda un fuorilegge (o presunto tale) e lo impicchi all’albero più alto fuori dalla città, per dire “la Legge c’è e siamo noi”.
E forse è esattamente quello che ha voluto dire Trump al mondo e ai suoi nemici interni.

Ma questo è l’epifenomeno, la manifestazione esteriore di una decisione che muove piani più profondi di quanto noi stessi, in un primo momento avevamo erroneamente immaginato. Andiamo per ordine.

NEPPURE UNA FIALETTA?
A distanza di una settimana non esiste una sola prova che ad usare le armi chimiche ad Idlib sia stata l’aviazione di Assad. Certo, i difensori dell’Occidente umanitario non hanno bisogno di prove per riempire di certezze i loro editoriali deliranti.

Ma persino la Cia, leader mondiale di falsificazione, stavolta non è riuscita ad inventarsi nulla neppure una fialetta puzzolente all’antrace, come quella che confezionò e diede in mano a Colin Powell affinché la mostrasse all’Assemblea delle Nazioni Unite come prova che in Iraq c’erano le armi chimiche.
La Casa Bianca ha portato a sostegno della tesi chimica un documento di quattro pagine (che il New York Times pubblica qui). Nel documento le prove che accuserebbero Assad si basano  su “un gruppo significativo di report di social media pro-opposizione” e “video open-source”, cioè praticamente filmati presi da internet; ovviamente materiale prodotto da chi è sul campo, cioè vale a dire Al Qaeda e affini. In più il dossier annuncia il possesso di intercettazioni ed immagini satellitari (per ora non mostrate) e prove tipo: “la presenza di personale siriano, storicamente associato al programma chimico, nella base aerea di Shayrat, a fine Marzo ed il giorno del bombardamento”.
Difficilmente una Commissione d’inchiesta internazionale utilizzerebbe un dossier del genere per giustificare un intervento militare.

Al contrario sempre più esperti sembrano nutrire dubbi sulla versione ufficiale con cui i media hanno confezionato la loro verità.
Ad oggi, rimangono  aperte tutte le perplessità che abbiamo espresso nel nostro ultimo articolo.

D’altro canto non sfugge che, i primi a congratularsi con Trump per l’operazione siano stati i turchi, i sauditi e i ribelli legati ad Al Qaeda: vale a dire quelli che avrebbero avuto tutto l’interesse a generare una false flag per costringere l’America a colpire Assad.

Scontato sottolineare che la Comunità d’intelligence che ha redatto questo rapporto per la Casa Bianca, è la stessa che in questi mesi ha redatto rapporti per spiegare al mondo che la Casa Bianca era al soldo dei russi.

trump-sheriffIL BANG BANG DELLO SCERIFFO
L’attacco alla Siria è militarmente inconcepibile: sparare 59 missili da crociera per colpire una base aerea evacuata poche ore prima, su suggerimento degli stessi americani, sembra francamente troppo anche per uno sceriffo. Più che un bombardamento è stato un Bang Bang.
Qualcuno ha osservato la stranezza di un attacco in cui Washington ha avvertito prima Mosca (perché avvertisse i siriani), ed in cui non c’è stata risposta da parte dei sofisticatissimi sistemi antimissilistici e antiaerei (S-400) che la Russia ha schierato in Siria.

Eppure in queste ultime ore il Segretario di Stato Tillerson in viaggio per Mosca ha usato parole durissime contro la Russia facendo intravedere il tramonto definitivo di una possibile convergenza con i russi.
Può Donald Trump aver cambiato così repentinamente la sua posizione sulla Siria (e di conseguenza su Putin) appiattendosi sulle vecchie strategie neo-con? Può il bisogno di svincolarsi dall’accusa di complicità con i russi, giustificare questi toni eccessivi?
L’imprevedibilità del personaggio potrebbe in effetti giustificare questi repentini cambi di posizione.

Eppure questo bombardamento, militarmente inutile costruisce una nuova narrazione: l’America si arroga il diritto di attaccare uno Stato sovrano, senza autorizzazione internazionale, a fronte di presunti crimini commessi. Se vale per la Siria può valere per tutti.

La cosa incredibile è che questa palese violazione del Diritto internazionale è stata applaudita dagli europei. E persino nel G7 di ieri il bombardamento è stato definito “una risposta calibrata ad un crimine di guerra”.

Poutine Trump Xi PanoUNA PARTITA A TRE
Certo è che l’attacco è servito a far rientrare l’America nel gioco siriano da cui l’incapacità di Obama l’aveva allontanata; e forse questo è anche ciò che voleva Putin. L’America è l’unico paese che può tenere a bada le velleità rapaci di Turchia e Arabia Saudita le cui mire sulla Siria sono dichiarate e criminali.

D’altro canto, al di là delle dichiarazioni sulla “fine di Assad”, Washington sa che nessun regime change è possibile in Siria senza che la Russia sia d’accordo.

Il Bang Bang dello sceriffo-Trump ha prodotto per sé una serie di vantaggi interni ed esterni:

INTERNI:

  • ha alleggerito l’assedio che si stava protraendo nei suoi confronti, attaccandosi al petto la stella da sceriffo della Legge internazionale
  • ha definito la sua linea di comando che estromette la Cia e affida l’impianto tattico e strategico ai militari, da sempre in rivalità con l’Agenzia all’interno del Deep State.

ESTERNI:

  • in un sol colpo ha praticamente dimostrato che l’Onu non serve, che l’Europa non esiste e che i suoi pomposi leader contano meno di un funzionario del Dipartimento di Stato;
  • ha sancito che il Nuovo ordine internazionale è una partita a 3, tra Usa, Russia, Cina. E che qualunque sia il problema (si chiami Siria, Corea, Ucraina) è ai leader di Washington, Mosca e Pechino che spetta la responsabilità storica di affrontarlo riducendo al minimo le mediazioni di organismi internazionali e alleati d’intralcio.

Forse è questa la vera dimensione di un nuovo multipolarismo.
È come se Trump avesse detto: sta a noi americani, russi, cinesi trovare la via per una convivenza possibile o la strada senza ritorno per una guerra globale. Ma Trump dovrebbe sapere che questo è un ragionamento da statista, non da sceriffo.


Su Twitter: @GiampaoloRossi

Articoli correlati:
Idlib: tutto quello che non torna
Siria: anche le bombe Usa ammazzano i civili

Tag: , ,